VIBO VALENTIA Nella relazione che ha portato allo scioglimento per mafia del consiglio comunale di Tropea la vicenda viene definita «emblematica», un sintomo evidente – secondo Prefettura e Viminale – del livello di condizionamento diretto o indiretto delle cosche locali nell’attività amministrativa dell’ente. Gli organi che hanno indagato sull’amministrazione comunale guidata, fino al 10 agosto scorso, da Giuseppe Rodolico parlano, in questo caso, di una condotta «omissiva» del sindaco e del segretario comunale pro tempore che, se non fosse intervenuto il funzionario dell’Ufficio esecuzioni penali esterne, «avrebbe permesso ad un condannato di scontare la pena senza di fatto espiarla». Tutto è iniziato alla fine del 2013, quando la precedente amministrazione ha sottoscritto un contratto sociale con cui si impegnava affinché un pregiudicato svolgesse per un anno (fino a dicembre 2014) lavori di pubblica utilità per il Comune quale pena alternativa alla reclusione. «È un dato fattuale – si legge nella relazione del Viminale – che l’amministrazione comunale non ha adottato, in quel contesto ambientale notoriamente caratterizzato da un’elevata presenza di esponenti della criminalità organizzata, dovuti e idonei criteri per assicurare il corretto e puntuale rispetto degli impegni assunti». Dalle successive verifiche è infatti emerso che l’ufficio che avrebbe dovuto vigilare sulle attività del condannato ha comunicato, «con grave ritardo e solo dopo le contestazioni formulate dal’Autorità giudiziaria sulle assenze del lavoro non giustificate del condannato, all’Ufficio esecuzione penale di non avere a disposizione una struttura operativa tale da consentire la giornaliera sorveglianza del pregiudicato».
Le discutibili modalità con cui il Comune di Tropea ha gestito la vicenda sono state messe in risalto nel provvedimento con cui, nel marzo del 2016, il Tribunale di Vibo ha revocato il beneficio concesso al condannato.
LO “CHALET DEI FIORI” ABUSIVO Anche nella vicenda relativa all’attività commerciale lo “Chalet dei fiori”, il sindaco e la sua giunta, in particolare un assessore, avrebbero tentato di favorire un noto pregiudicato già intestatario di beni confiscati e riconducibili ai Mancuso e ai La Rosa. L’immobile in muratura e le strutture afferenti allo “Chalet dei fiori”, nella cui gestione sarebbe preponderante il ruolo del pregiudicato in questione, si trovano in un’area pubblica, a Villa Ghirlanda, con conseguente «occupazione abusiva del suolo ed avvenuta realizzazione in assenza di alcun titolo autorizzativo». In relazione a questa circostanza, la mancata disponibilità di un architetto in servizio al Comune di apporre un parere favorevole è stata indicata dallo stesso professionista come uno dei motivi per cui il sindaco avrebbe caldeggiato il suo allontanamento dall’ente. Non solo. Il sindaco e un assessore avrebbero interferito sia sull’operato della Polizia municipale, che in più occasioni aveva contestato gli abusi edilizi e l’occupazione abusiva del suolo, sia su quello dell’Area tecnica, che ha intimato con più ordinanze la demolizione e lo sgombero. Sindaco e assessore avrebbero poi «sminuito» l’operato dei vigili urbani, dei tecnici comunali e anche dello sportello Suap e, infine, «palesato la volontà di rinunciare all’obbligo dell’ente di far rivalere il proprio interesse su un bene della comunità, quale una Villa posta al centro del contesto urbano»
MANIFESTAZIONE SPORTIVA Anche i contributi economici elargiti per l’organizzazione di manifestazioni sportive hanno fatto emergere, secondo quanto scritto dal Viminale, una gestione del Comune «disinvolta e finalizzata a favorire ambienti controindicati». Sarebbe questo il caso, secondo la Commissione che ha indagato per sei mesi sull’amministrazione comunale, di un torneo calcistico patrocinato sia nel 2014 che nel 2015 attraverso la concessione di un contributo economico agli organizzatori. «Le audizioni della commissione d’indagine – scrive Alfano nella relazione al presidente della Repubblica – hanno evidenziato come gli amministratori, pur nella consapevolezza che tra gli organizzatori della manifestazione vi fossero soggetti con precedenti per gravi reati anche associativi e riconducibili alla locale criminalità organizzata, non hanno posto in essere le più opportune iniziative per la salvaguardia dei principi di legalità».
s. pel.
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