COSENZA «Il primo rettore, Beniamino Andreatta, lo aveva ben capito: la Calabria non avrebbe potuto decollare senza una buona università, perché non aveva nulla e quando una ditta apriva un cantiere, portava mezzi e tecnici. Qui c’era il deserto». Il rettore dell’Unical, Gino Mirocle Crisci, è nel suo ufficio, al quarto piano di un moderno “palazzo di vetro”, che campeggia nel cuore del campus dell’Università della Calabria a Rende, alle porte di Cosenza. Dalla sua stanza si domina la valle del Crati e tutta la cittadella universitaria. «Quasi trentamila studenti – dice all’Agi, con orgoglio, il magnifico rettore – con 700 stranieri che vengono da 64 Paesi diversi. E abbiamo convenzioni con 200 università di tutto il mondo. Per celebrare questa nostra straordinaria apertura all’estero, che abbiamo fin dall’inizio, abbiamo messo 64 bandiere all’ingresso dell’ateneo». Un ateneo, dunque, sempre più internazionale, che ha avviato partnership prestigiose come quella con i giapponesi della multinazionale Ntt Data, colosso quotato nella borsa nipponica, che ha Cosenza ha una sede attiva nel settore della Cybersicurezza. «L’Unical nasce come polo tecnologico, e abbiamo dato il nostro contributo a molte aziende del territorio, che stanno crescendo – dice Crisci – ma non possiamo essere solo noi a dare l’humus a questa terra: serve l’apporto della politica, delle amministrazioni locali, delle associazioni. Dopo un letargo durato 40 anni, finalmente oggi il rapporto con la Regione Calabria è molto buono – sottolinea il rettore – e proprio ad agosto la giunta ha ratificato un accordo di programma con le università calabresi sui fondi strutturali. E poi l’Unical ha dato diversi assessori alla Regione e forniamo anche i nostri esperti. Per esempio, ora stiamo lavorando molto sulla prevenzione sismica». Ma i problemi ci sono. «Servirebbe che lo Stato ci trattasse meglio – dice il rettore – perché non possiamo più aumentare la nostra offerta: c’è il blocco delle assunzioni dei docenti e siamo tagliati fuori dai finanziamenti». E spiega: «Se lo Stato dice che vuole aiutare il Sud, perché poi abbiamo finanziamenti che sono tre volte minori di quelli delle università del nord?». È una situazione frutto di un meccanismo perverso. «Oggi non siamo più una piccola università – sottolinea – e per questo soffriamo. Perché i finanziamenti sono legati alla tassazione, che, per una regione povera come la Calabria, è la metà di una del Nord. E non possiamo aumentarla, perché non si iscriverebbe nessuno. E poi, sempre per il reddito, noi abbiamo ben 7.000 studenti esonerati dal pagamento delle tasse». Ma c’è dell’altro. «I fondi arrivano per una serie di calcoli che comprendono anche la cosiddetta “quota storica” – spiega Crisci – e quindi, se l’università di Padova, solo per fare un esempio, riceve 4.100 euro a studente, noi ne prendiamo solo 2.900. E così, comparando noi con un’università come quella di Padova, riceviamo, ogni anno, calcolando 30.000 studenti, 64 milioni di euro in meno. Pensate a quante cose potremmo farci. Aggiungo che ricavare meno denaro dalle tasse vuol dire avere meno docenti, meno ricerca, meno aiuti agli studenti, – dice il rettore dell’Unical – una cosa che riteniamo ingiusta e scorretta. Quindi, siccome la regione è povera, siamo penalizzati due volte». Cionostante, si fa di necessità virtù: «Anche con meno fondi, riusciamo a stare all’avanguardia nel settore dell’informatica, nel settore medico e in quello geologico – sottolinea Crisci – e i nostri ricercatori hanno partecipato al restauro della Fontana di Trevi. Per la fisica, molti rivelatori del superacceleratore del Cern di Ginevra vengono dai nostri laboratori e molte antenne dei satelliti che sono andati su Marte le abbiamo fatte qui da noi. E non scordiamo le eccellenze sul lato umanistico, dal professor Nuccio Ordine (diventato un accademico di fama in Francia, ndr) a tanti altri. Per questo è una pena veder emigrare i nostri giovani, anche se ci fa piacere che facciano successo. Ma li vorremmo qui, a far ricca la Calabria, dopo tutto lo sforzo che facciamo. Ci piacerebbe avere più rapporti con le imprese. Ne abbiamo, ma con piccole imprese, che sono la maggioranza nella nostra terra – dice il rettore – e quindi, più che con industrie, che qui non ci sono, abbiamo rapporti con, per esempio, le imprese associate alla Confapi. E poi vorremmo davvero che lo Stato ci considerasse per quello che siamo: l’unico vero campus italiano, visto che solo noi abbiamo questa struttura “all’americana”, con un grosso centro sportivo, molte attività culturali, alloggi per quasi 3000 studenti. Siamo fuori dalla città e abbiamo delle caratteristiche peculiari. Perché non vengono a studiarci? Nel 2010, quando eravamo in forte crescita, i tagli lineari ai finanziamenti ci hanno molto danneggiato. Ora – conclude – ci serve attenzione».
x
x