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Giunte tecniche e disaffezione dei cittadini

Può il ricorso a una giunta tecnica, cioè fatta da “esterni”, rappresentare un motivo di sfiducia degli elettori verso le istituzioni? Il quesito è stato posto recentemente dal consigliere regional…

Pubblicato il: 07/09/2016 – 8:26

Può il ricorso a una giunta tecnica, cioè fatta da “esterni”, rappresentare un motivo di sfiducia degli elettori verso le istituzioni? Il quesito è stato posto recentemente dal consigliere regionale Enzo Ciconte, del Pd, al presidente della Regione, Mario Oliverio, suo compagno di partito e amico, ma non si conosce se e quale sia stata la risposta. Sicuramente non è un valido antidoto al clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni in una regione che storicamente ha avuto un tasso di partecipazione alto.
L’esempio che il calabrese medio ricava da operazioni di questo tipo riguarda in maniera marginale la necessità di mantenere gli equilibri soprattutto all’interno del proprio gruppo o con gli alleati della maggioranza, ma intesse giudizi trancianti del tipo: l’operazione è stata fatta per nascondere qualcosa di grave. L’elettore spesso non accetta che, messa da parte la persona nella quale ha riposto la fiducia dandole il voto, si preferisca un soggetto esterno per il governo del territorio.
Evidenziava un politologo dell’autorevolezza di Gianfranco Pasquino che tra le tre principali cause della disaffezione degli elettori vi è la crisi dei partiti che non riescono più a mobilitare le masse e portarle alle urne per una generale sfiducia nei loro confronti e nelle istituzioni. C’è da ritenere che anche il venir meno della rappresentanza istituzionale della persona votata ed eletta possa diventare concausa della disaffezione, tout court, dalla politica. Anche un rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’Istat focalizza questo aspetto con un riferimento esplicito, nella sezione dedicata alla politica e alle istituzioni, alla fiducia dei cittadini nei confronti dei partiti politici.
Ovviamente la partecipazione di soggetti esterni al governo della Regione (ma la questione riguarda anche gli altri enti locali e persino l’esecutivo nazionale) non può essere l’unico motivo che alimenta la crescita del “partito del non voto”; semmai è una concausa che può marciare su binari paralleli con altre vicende, a cominciare dallo scandalo di Tangentopoli che ha travolto il Paese nei primi anni della cosiddetta Seconda Repubblica, ma con il medesimo denominatore che è la sfiducia nei confronti delle istituzioni.
In un Paese come il nostro e in una regione come la Calabria, che tradizionalmente hanno avuto un tasso di partecipazione elettorale relativamente alto, non dovrebbe sorprendere che il crollo dell’affluenza sia alimentato dai tanti scandali che hanno travolto il mondo politico ai vari livelli, compreso probabilmente il ricorso a un governo regionale con elementi, seppure con una alta professionalità e competenze, ma pur sempre esterni ai partiti e alla competizione elettorale pertanto non sottoposti al giudizio dei cittadini. E poco importa se la scelta è stata fatta senza “giochini”, senza guardare ad alberi genealogici, ad equilibri interni, a richieste e spinte esterne.
Nell’immaginario collettivo tutto ciò può anche essere interpretato come un atto di prevaricazione.

*Giornalista

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