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Canale dei veleni, il disastro ambientale (annunciato) e il sonno della Regione

A dirlo, stavolta, non sono stati solo i soliti “comitatini” invisi al potere renziano e avidi di distruttiva notorietà. No: la locuzione «disastro ambientale», tanto cara a noialtri gufi/allarmist…

Pubblicato il: 08/09/2016 – 12:10
Canale dei veleni, il disastro ambientale (annunciato) e il sonno della Regione

A dirlo, stavolta, non sono stati solo i soliti “comitatini” invisi al potere renziano e avidi di distruttiva notorietà. No: la locuzione «disastro ambientale», tanto cara a noialtri gufi/allarmisti/disfattisti/nemici della Calabria, in questa vicenda è uscita da bocche che sarebbero istituzionalmente deputate a evitare che tali disastri avvenissero. Lo ha detto tra i primi Carlo Tansi, dirigente della Protezione civile calabrese. E lo ha ripetuto la Regione Calabria (qui il comunicato ufficiale) per bocca dell’assessore all’Ambiente Antonella Rizzo, che pure sembrava sinceramente preoccupata mentre “allisciava” gli attivisti del Comitato 7 agosto assicurando la «massima attenzione» delle istituzioni su quel “canalone” di 4 km che, al confine tra San Ferdinando e l’area del porto di Gioia Tauro, ha avvelenato il mar Tirreno per tre volte nell’ultimo mese.
La vicenda è tristemente nota a chi non vive con i paraocchi della retorica da cartolina. Un canale che avrebbe dovuto raccogliere le acque bianche della zona industriale e del porto si trasforma in un serpentone liquido e scuro perché qualcuno, dagli scarichi per cui dovrebbe passare solo acqua piovana, l’ha imbottito di veleni (idrocarburi e metalli pesanti) che poi sono finiti in mare.
Non serve aggiungere molto al racconto che gli attivisti del Comitato ne stanno facendo sulla loro pagina Fb con tanto di documenti, foto e video.
È utile però ricordare qualche data: 10 luglio, viene segnalato alle autorità l’evidente inquinamento del canale e il pericolo che tutto vada a finire in mare; 7 agosto, il piccolo argine di sabbia sistemato a mo’ di diga sull’arenile cede sotto la pioggia e avviene il primo sversamento; 24 agosto, un temporale notturno causa di nuovo la tracimazione in mare delle sostanze inquinanti; 7 settembre, durante i lavori di «messa in sicurezza» dell’area gli attivisti vengono allontanati dal “canalone” per volontà dei tecnici dell’Autorità portuale e, poco dopo, viene deliberatamente “aperta” la foce e avviene il terzo sversamento in mare di quanto contenuto nel canale (parzialmente svuotato, ma senza che prima venisse rimossa dal sito la sabbia verdastra evidentemente contaminata).

foce proscviugata del canale di scolo

Un disastro annunciato e reiterato. Ripeterlo è forse un esercizio retorico anche facile per chi non vive in quel territorio, ma non è inutile. Come non è inutile ricordare che gli enti coinvolti sono l’Autorità portuale (competente sull’arenile), la Iam spa (cui spetterebbe la manutenzione del canale) e la Regione Calabria (proprietaria del sito attraverso l’ex Consorzio industriale). Enti che hanno inscenato un vergognoso rimpallo di responsabilità mentre gli sversamenti annunciati si verificavano puntualmente. La Regione, in particolare, al di là delle foto in cui l’assessore si fa ritrarre al fianco dei manifestanti e degli immancabili e inconcludenti tavoli tecnici, non ha fatto nulla per evitare il disastro. Ha dormito ancora una volta. E chissà se sapremo mai se è stata ignavia, incompetenza, o magari la volontà di coprire le responsabilità di qualcuno. Perché qualcuno, quei veleni finiti in mare, nel canale li ha sversati. Ma magari, anche stavolta, le uniche denunce che partiranno saranno contro chi questa porcheria l’ha denunciata, e non contro chi l’ha provocata.

s.pelaia@corrierecal.it

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