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L'impegno della Chiesa contro la 'ndrangheta

 SOVERATO «Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lascia…

Pubblicato il: 08/09/2016 – 15:32
L'impegno della Chiesa contro la 'ndrangheta

 SOVERATO «Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Lascia sempre un po’ di sé e si porta via un po’ di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la prova evidente che due anime non si incontrano per caso». Ha citato Borges, ieri, Monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nel corso della presentazione del suo nuovo libro “L’enigma della zizzania – Il metodo Puglisi di fronte alle mafie”, edito da Rubbettino.
La traccia che il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo il 15 settembre del 1993 ha lasciato nella storia della Chiesa è incancellabile. L’impegno contro la criminalità organizzata lo ha portato alla morte e una causa di canonizzazione attende, oggi, di celebrare l’impronta di quel martirio. La figura di don Pino Puglisi come martire della Chiesa è stato uno dei temi affrontati dall’arcivescovo Bertolone, che è anche postulatore nella causa di canonizzazione del sacerdote.
Tra i relatori che mercoledì sera hanno presentato il libro, nella chiesa della SS Addolorata a Soverato Superiore, anche Nicola Durante, giudice amministrativo del Tar Calabria, in passato gip distrettuale al tribunale di Catanzaro dove si è occupato di processi di mafia come “Garden” e “Galassia”, sulla criminalità cosentina, operazioni per le quali dispose ordinanze di cattura e rinvii a giudizio. «Devo riconoscere, con assoluta sincerità, – ha detto Durante – che mai, per spiegare l’essenza vera della mafia, è stata usata una metafora più calzante di quella prescelta dal nostro vescovo: quella della zizzania. Secondo la parabola, la zizzania è il seme cattivo che, piantato dal demonio, germoglia nel campo assieme al frumento, confondendosi con esso e creando una apparente uniformità tra ciò che è buono e ciò che è cattivo; una non interrotta continuità tra male e bene, destinata a cessare solo nel giorno della mietitura, quando il Buon Padrone terrà per sé i frutti buoni della terra e getterà via quelli cattivi. E cos’altro è la mafia, se non un terribile inganno, una potente mistificazione, che mischia il male col bene e fa apparire giusto ciò che è profondamente malvagio? È la pianta cattiva, che cresce e prospera nel campo accanto a quella buona e che l’uomo dotato di libero arbitrio deve sapere distinguere e rifiutare».

IL FENOMENO MAFIA E L’OMERTÀ Ma cos’è veramante la mafia? Imbrigliare un fenomeno antico e complesso, evolutosi nel tempo, non è facile. Secondo Durante: «Spiegare cosa la mafia sia davvero rimane un compito arduo, perché non è facile cogliere appieno i tratti distintivi, che fanno di essa un unicum all’interno delle numerose realtà criminali, tristemente diffuse in Italia e nel Mondo, «una pianta che sfugge alle classificazioni della botanica», come scrive anche l’autore.
Le ragioni dell’omertà sono molteplici, secondo il magistrato: «In alcuni casi, essa ha origine nei rapporti di consanguineità o nella paura di ritorsioni: io non denuncio i torti cui ho assistito e anche quelli che ho personalmente subìto, per non accusare il mio parente o per il timore di ritorsioni da parte di chi li ha commessi, o dei suoi accoliti. Altre volte, è la risposta – senz’altro deprecabile – del cittadino meridionale all’incapacità dello Stato di risolvere le piaghe e l’arretratezza in cui versa il Mezzogiorno, rispetto al resto d’Italia. Altre volte ancora, costituisce un sottoprodotto di scambio di un mondo mai pienamente evolutosi sotto l’aspetto sociale ed economico, in cui la persona, anziché chiedere protezione a uno Stato considerato inefficiente e corrotto, si rivolge direttamente alla mafia, quale unica entità in grado di fornirgli i rudimenti del vivere e (paradossalmente) anche del vivere civile: pane, lavoro e giustizia». 
«Bisogna, tuttavia, stare attenti a non commettere l’errore di confondere la mafia con l’omertà – spiega Durante –. L’omertà è una condizione di sottomissione dell’individuo nei confronti dell’organizzazione mafiosa che, anche quando si manifesta in forme di apologia ed esaltazione, rappresenta pur sempre un atteggiamento morale riprovevole, e non un concorso nel delitto altrui. Trattare l’omertà alla stessa stregua del fenomeno mafioso è molto pericoloso, perché porta a confondere la vittima col carnefice e tende ad avvalorare l’equazione per cui al Sud “tutto è mafia”, senza distinzione alcuna tra chi commette azioni violente o sopraffattrici, traendone vantaggio, e chi ne accetta, più o meno passivamente, le conseguenze».

MAFIA COME ORDINAMENTO GIURIDICO La criminalità organizzata ha un carattere pubblico, conduce affari illeciti ma anche leciti: è noto il fenomeno della mafia imprenditrice. Non è una società segreta, al contrario, si impone all’interno dello Stato con le sue leggi e le sue regole. Una dura denuncia quella che scaturisce dal discorso di Durante: «Tuttavia, a rendere la mafia diversa e più pericolosa di qualunque organizzazione criminosa è senza dubbio il fine ultimo cui essa tende: l’esercizio di una signoria piena ed autonoma su un territorio di riferimento. In tal senso, essa si qualifica come un “ordinamento giuridico” (sia pure di matrice criminale), ossia un insieme precostituito di regole vigente in un determinato àmbito territoriale o, comunque, tra determinati individui, la cui trasgressione è punita con l’applicazione di una sanzione. Si badi che le regole di cui stiamo parlando sono sia quelle interne, valide tra gli associati, sia quelle imposte alla comunità indistinta, con la forza, ma anche col consenso (si pensi a chi, rivoltosi al mafioso per dirimere una controversia o per ricevere un’utilità, ne accetta i comandi e la protezione)».
«È tutto questo che rende la mafia la più pericolosa delle associazioni delinquenziali, “un nemico, insomma, che non è mai chiaramente anti-Istituzione ed anti-Stato, che anzi sino a quando può, cerca di penetrare nei gangli dello Stato e di utilizzarne le strutture”, pur prolificando in atmosfere di sfiducia nella politica e di ricorso a forze che garantiscono protezione e promettono lavoro”», afferma il magistrato citando il libro di Bertolone.

IL RUOLO DELLA CHIESA Secondo monsignor Bertolone «le mafie vanno combattute dalle strutture dello Stato con ogni mezzo e la Chiesa non può che sostenere tale azione, educando a sua volta alla legalità. Come? Da un canto, illuminando le coscienze sulla vera natura della mafia che impersona il male in sé, dall’altro, continuando a usare le categorie evangeliche della conversione interiore e del perdono. A quest’impegno, nessuno può sottrarsi, men che meno i credenti». L’impegno dello Stato e della Chiesa, rammenta il giudice Durante, deve essere corale: «L’insegnamento che le pagine di monsignor Bertolone trasmettono è dunque chiarissimo: perché all’interno della società si produca un reale cambiamento, è necessario un impegno corale, rivolto principalmente al risveglio delle coscienze, affinché risalti la vera faccia della zizzania e ognuno sia messo in grado di scegliere consapevolmente il frumento. Al contrario, è illusorio pensare che il fenomeno mafioso possa essere debellato combattendone le manifestazioni criminali, affidandosi soltanto all’azione di magistratura e forze dell’ordine». «E questo traguardo, come disse don Puglisi, non si potrà mai raggiungere, se si agisce individualmente», conclude Durante.
«Un libro, quello scritto dall’arcivescovo, che dovrebbe essere adottato nelle scuole per l’insegnamento della religione», secondo Gerardo Pagano, ex sindaco di Soverato e preside del Liceo Scientifico. Moderatore dell’incontro è stato il professore Ulderico Nisticò che ha ricordato un nuovo appuntamento, ai primi di ottobre, sulla figura di San Francesco di Paola.

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