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La vicenda di Melito e le responsabilità della comunità

Premettendo necessariamente che si sta parlando di fatti tutti ancora da accertare e di persone sulle quali pende sì un gravissimo quadro indiziario, ma nei confronti delle quali sono ancora condot…

Pubblicato il: 12/09/2016 – 15:02
La vicenda di Melito e le responsabilità della comunità

Premettendo necessariamente che si sta parlando di fatti tutti ancora da accertare e di persone sulle quali pende sì un gravissimo quadro indiziario, ma nei confronti delle quali sono ancora condotte delle indagini, quanto pare sia avvenuto a Melito Porto Salvo ha poco dell’abuso sessuale vero e proprio.
La violenza di gruppo della quale sembra essere stata ripetutamente vittima la ragazzina non è determinata, infatti, da una mancata inibizione della libido dei soggetti oggi accusati, bensì da una forte carica di aggressività extrasessuale e da una motivazione ludica, oltre che da una manifestazione di potere.
E ciò, purtroppo, per una ragione semplice: nella violenza sessuale mossa dal branco (che non a caso vede sempre più spesso protagonisti soggetti giovanissimi) quasi mai c’è una coincidenza di raptus erotici, piuttosto c’è una convergenza di decisioni che manifestano solo e soltanto un disprezzo assoluto per la vittima.
Proprio per tale ragione la violenza sessuale di gruppo è un’azione da considerarsi socialmente più pericolosa rispetto allo stupro singolo, e il maggior disvalore è evidente non solo dal diverso trattamento sanzionatorio, ma anche dal fatto che per far sì che si realizzi il reato in questione non è necessario che ciascun soggetto del gruppo compia dei veri e propri atti sessuali, ma è sufficiente che abbia dato il proprio contributo anche solo nell’adescamento.
Quanto alla mancata reazione sociale, alla poca vicinanza manifestata nei confronti della vittima e a certe affermazioni apparse su alcuni organi di stampa, secondo le quali la ragazzina avrebbe avuto una qualche forma di responsabilità nell’accaduto, se fosse vero, un atteggiamento allarmante di questo tipo mi fa pensare alle comunità tribali – da intendersi quelle che vedono i diritti collettivi soppiantare quelli individuali – che per paura dell’onore leso impediscono persino alla vittima di fuggire e conseguentemente cospirano al fine di ostacolare le investigazioni di polizia.
In criminologia esiste una specifica branca di studio che si chiama vittimologia e che analizza come il comportamento del criminale e della vittima si influenzino reciprocamente; ma non nel senso di conferire a chi subisce atti penalmente rilevanti una qualche forma di responsabilità, bensì nell’ottica di individuare situazioni con chiare potenzialità vittimogene.
Pertanto, se quanto accaduto alla ragazzina in questione risultasse riscontrato è evidente come la responsabilità di quanto verificatosi vada attribuita, più che alla minore, in qualche modo all’intera comunità che evidentemente era già da tempo al corrente delle violenze perpetrate.
Il mancato riconoscimento della qualità di vittima da parte della comunità di appartenenza è, infatti, pericoloso tanto quanto la violenza subita poiché aumenta la frustrazione e distrugge l’immagine che la persona ha di sé creando forme di vittimizzazione secondaria.

*avvocato del foro di Cosenza, criminologa

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