COSENZA Il Tribunale di Cosenza ha condannato a quattro mesi di reclusione Piero Citrigno, l’imprenditore imputato nel processo sulla morte di Alessandro Bozzo, il cronista suicidatosi nella sua casa di Marano Principato il 15 marzo del 2013. L’imprenditore è accusato di violenza privata ai danni del giornalista. Il giudice Francesca De Vuono ha condannato Citrigno anche al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni nei confronti del padre del giornalista che si era costituito parte civile. Il pm Mariafrancesca Cerchiara aveva chiesto la condanna a 4 anni di carcere.
Nella mattinata di mercoledì si sono concluse le arringhe del collegio difensivo. Secondo l’impianto accusatorio Bozzo sarebbe stato costretto dal suo editore – l’imputato Citrigno all’epoca dei fatti editore della testata “Calabria Ora” dove lavorava il cronista – a firmare un contratto «peggiorativo» che lui stesso più volte e in un diario (finito agli atti del processo), ha definito «un’estorsione».
L’avvocato Staiano (difensore di Citrigno assieme al collega Raffaele Brescia), ha sottolineato al giudice come «il capo di imputazione sia nullo per difetto di contestazione». Il legale ha evidenziato inoltre come «il diario non rappresenta un fatto certo d’accusa fatto solo di emozioni e sensazioni» nel quale emergeva «un rapporto familiare piegato». Nel corso della sua arringa l’avvocato Staiano, ripercorrendo l’excursus del processo attraverso le prove testimoniali, ha ricostruito i rapporti tra Bozzo e Citrigno e ha ribadito più volte come tra il giornalista e l’imputato «c’era una corsia preferenziale. C’è sempre stato un rapporto di amore e odio fino alla fine. Se lo vuole fare fuori – insiste Staiano – perché poi se lo tiene? Perché ha una stima perpendicolare di Bozzo. Non esiste, quindi, una condotta tecnicamente minacciosa. Citrigno di fatto non ha mai licenziato Bozzo né lo ha mai detto a lui direttamente. Bozzo impone la sede di Cosenza nella trattativa. Quel diario è l’anima di un uomo disperato per varie ragioni».
Immediata la replica del pm Mariafrancesca Cerchiara: «Non emerge nessuna stima tra Citrigno e Bozzo ma un comportamento da padrone. Non è vero che il diario e le testimonianze dei colleghi non siano delle prove e da quel diario emerge uno stillidicio». Sulla stessa lunghezza d’onda la replica dell’avvocato Nicola Rendace, che rappresenta i familiari di Bozzo costituitisi parte civile: «La lettura degli atti non coincide con la ricostruzione fatta dai difensori. Il diario e i racconti dei colleghi sono elementi probatori importanti. Ritengo – ci tiene a ribadire l’avvocato Rendace – che i problemi familiari non devono entrare in questo processo perché il reato contestato non è l’istigazione al suicidio, ma la violenza privata che è stata ampiamente dimostrata in tutto il dibattimento».
Presenti in aula, come sempre, i genitori e la sorella di Alessandro Bozzo e alcuni rappresentanti dell’associazione Libera. Assente l’Ordine dei giornalisti, che si è costituito parte civile nel processo.
Bisognerà attendere 90 giorni per conoscere le motivazioni della sentenza. E a quel punto la Procura dovrebbe ricorrere in appello.
L’INCHIESTA E IL PROCESSO CHE NON DECOLLAVA La sera del 15 marzo del 2013 nelle redazioni di tutti i giornali calabresi e al comando provinciale dei carabinieri di Cosenza arriva quella telefonata che mai nessuno avrebbe voluto ricevere: un giovane si è tolto la vita nella sua casa di Marano Principato. Quel giovane è Alessandro Bozzo, il cronista di nera e giudiziaria dell’allora quotidiano “Calabria Ora”, che tutti conoscevano e apprezzavano per quel carattere burbero ma diretto. I carabinieri non riescono a capacitarsi di quello che è successo. Qualche settimana prima Alessandro Bozzo aveva fatto richiesto e ottenuto il porto d’armi. E con una pistola acquistata si è tolto la vita sul divano di casa sua. Una tragedia che ha sconvolto tutta la città e in primis la famiglia, un dolore immenso anche perché Bozzo ha lasciato una bimba, la piccola Venere, che allora aveva appena cinque anni. Nelle settimane successive il papà di Alessandro ha trovato un diario in cui il cronista ha ricostruito gli ultimi mesi di una esistenza tormentata. Da lì i carabinieri avviano le indagini e la Procura chiede la citazione diretta a giudizio per l’ex editore di “Calabria Ora” Piero Citrigno. L’indagine vede l’imprenditore accusato di violenza privata nei confronti del giornalista che aveva da poco compiuto 40 anni. Tecnicamente, la richiesta avanzata dagli uffici giudiziari equivale a un rinvio a giudizio. Il Tribunale bruzio valuta la richiesta e fissa la data del processo. Un processo che per un anno stenta a decollare. All’ex editore viene contestata la violenza privata perché, secondo l’accusa, avrebbe costretto Bozzo a sottoscrivere atti nei quali «dichiarava, contrariamente al vero, di voler risolvere consensualmente il contratto di lavoro a tempo indeterminato con la predetta società, senza avere nulla a pretendere e rinunciando a qualsiasi azione e/o vertenza giudiziaria». Successivamente, secondo i pm, a Bozzo sarebbe stato in qualche modo imposto di firmare un contratto di assunzione a tempo determinato «quale unica alternativa alle dimissioni». E il giornalista, che era sposato e padre di una bambina, secondo alcune testimonianze rese dai suoi colleghi, avrebbe definito la sigla di questo accordo come «un’estorsione».
Il processo non riesce a incardinarsi per continui cambi del giudice. Il pubblico ministero Maria Francesca Cerchiara ha sottolineato come non sia accettabile l’ennesimo rinvio per un procedimento così delicato. Già il 6 ottobre del 2013, nel corso di quella che doveva essere la prima udienza, il giudice onorario Castiglione aveva emesso un’ordinanza per chiedere un’assegnazione ad altro giudice perché, «data la delicatezza del procedimento», avrebbe avuto a disposizione poche udienze per incardinare il processo. Così il procedimento era stato affidato al giudice togato Vincenzo Lo Feudo. Ma il giudice Lo Feudo è stato trasferito e il processo cambia nuovamente giudice. Viene affidato al giudice Francesca De Vuono che incardina il processo e dà un’accelerata al dibattimento. Dopo aver ascoltato diversi testimoni, in particolare molti colleghi di Bozzo, si arriva alla requisitoria del pm Cerchiara che chiede 4 anni di reclusione e la trasmissione degli atti in Procura perché nel dibattimento sono emersi «nuovi elementi e ipotesi di reato di estorsione e violenza privata in relazione a condotte diverse e autonome rispetto a quelle contestate in questo processo e perpetrate ai danni dei giornalisti Pietro Comito, Antonio Murzio, Francesco Pirillo, Antonella Garofalo e lo stesso Alessandro Bozzo per il reato di estorsione».
Alle 14 del 14 settembre la sentenza che condanna Citrigno a 4 mesi e al pagamento delle spese processuali.
Mirella Molinaro
m.molinaro@corrierecal.it
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