Quando la giustizia funziona, soprattutto nel senso della celerità dei procedimenti, offre l’occasione ai decisori pubblici, intendendo per tali anche i dirigenti, di imparare a fare (bene) il loro mestiere. Insegna loro che non bisogna fare i «cattivi» nell’utilizzare il denaro pubblico e che quando ciò non si fa c’è la magistratura e, conseguentemente, l’elettorato più consapevole a dire la loro.
Due esempi utili, provenienti da due regioni per nulla uguali e tanto distanti tra loro, se non nella passata collaborazione dell’una a garantire nel dopo guerra la mano d’opera alla grande industria operante nell’altra, praticamente da sempre.
I magistrati piemontesi hanno condannato in appello a tre anni di reclusione per falso ideologico, confermando la sentenza di primo grado, l’ex sindaco del Comune di Alessandria (Piercarlo Fabbio), dichiarato dissestato a seguito di invito formale del Giudice contabile, e l’allora responsabile del settore finanziario (Carlo Alberto Ravazzano). In buona sostanza, i due sono stati ritenuti responsabili di interventi di maquillage sul loro bilancio per celare lo sforamento del Patto di stabilità relativamente all’anno 2010. La Procura di Alessandria aveva chiesto il processo anche per truffa e abuso di ufficio, reati che nono stati esclusi e, quindi, non riconosciuti in capo agli imputati dalla Corte di appello di Torino.
Un esito penale che ha fatto seguito ad una pesante condanna della Corte dei conti (sentenza 6/2013) che aveva riconosciuto una responsabilità erariale record per un Comune. Sanzionando i tre maggiori responsabili (il sindaco, l’assessore al bilancio dell’epoca e il dirigente del servizio finanziario) con 1,53 milioni cadauno. Non solo. Attribuendo un ristoro dei danni monetizzato in 380 mila euro cadauno a tutti gli assessori e di 33 mila euro cadauno ai 23 consiglieri che avevano dato l’ok al bilancio incriminato.
In relazione ad un’altra fattispecie, è recentemente intervenuta la Corte dei conti della Calabria, in seduta giurisdizionale, con la sentenza 197/2016 dell’appena 6 settembre scorso, in tema di corretta riconoscibilità dei debiti fuori bilancio. Per intanto, ha sancito un importante principio, quello di esimere da ogni responsabilità contabile il titolare del settore finanziario allorquando, questi, abbia formalmente dichiarato la non riconoscibilità del debito fuori bilancio, di contro perfezionato successivamente dal consiglio comunale. Un perfezionamento intervenuto sulla scorta di un parere reso dall’ufficio tecnico del Comune che ha fatto sì che quest’ultimo e i consiglieri comunali deliberanti assumessero una responsabilità contabile complessivamente individuata nella misura del 60% in capo al primo e il restante 40% spalmato tra questi ultimi. Ciò in presenza di una chiara leggibilità della norma di riferimento, dell’inconsistenza della documentazione istruttoria ma soprattutto del parere del responsabile del settore finanziario ampiamente motivato au contraire.
Tutto questo suggerisce un ammonimento agli amministratori pubblici di non trascurare la formazione dei documenti, sia quelli che definiscono il procedimento ma anche quelli istruttori infra-procedimentali. Spesso in tali atti si annidano, infatti, i trabocchetti dei più furbi ovvero sottovalutazioni burocratiche incomprensibili, di frequente causa di responsabilità dei decisori con pesanti sanzioni economiche al seguito. Ciò in quanto non è necessario andare a Berlino per trovare il giudice ideale e prontamente operativo per la tutela dell’interesse pubblico, atteso che lo si può trovare vicino casa!
*Docente Unical
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