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Lo Giudice: «Faccia di mostro ha ucciso Borsellino»

REGGIO CALABRIA C’è Faccia di mostro dietro gli attentati costati la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come agli uomini che li scortavano. A raccontarlo ai pm Nino Di Matteo e Ro…

Pubblicato il: 19/09/2016 – 10:20
Lo Giudice: «Faccia di mostro ha ucciso Borsellino»

REGGIO CALABRIA C’è Faccia di mostro dietro gli attentati costati la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come agli uomini che li scortavano. A raccontarlo ai pm Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia della Dda di Palermo e Giuseppe Lombardo, della Distrettuale di Reggio Calabria è Nino Lo Giudice, controverso collaboratore, oggi tornato a parlare con i magistrati. Pentito, poi in fuga perché pentito di essersi pentito, per lungo tempo muto dopo esser stato riacciuffato dalla Mobile di Reggio mentre si nascondeva a qualche isolato da casa sua, oggi Lo Giudice è tornato a parlare. «Non sapevo di chi fidarmi, per questo sono scappato», spiega.

IL NUOVO LO GIUDICE Adesso la fiducia sembra essere tornata ed il collaboratore è un fiume in piena nel puntare il dito contro Faccia di Mostro, al secolo – ipotizzano i magistrati di diverse Procure – Giovanni Aiello, ex agente della Mobile di Palermo, evocato da collaboratori e testimoni come killer di Stato intervenuto in diversi episodi torbidi della storia recente della Repubblica come il fallito attentato dell’Addaura, l’omicidio dei brigadieri Fava e Garofalo, a Reggio Calabria, l’uccisione dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, trucidati il pomeriggio del 5 agosto 1989. Tutti delitti di cui – conferma Lo Giudice – Aiello, «u sfregiatu», è responsabile.

FACCIA DI MOSTRO Il collaboratore – si legge in un verbale depositato al processo Borsellino quater a Caltanissetta – ne ha avuto conferma dallo stesso Aiello. Lo ha conosciuto a Reggio, ma la sua fama lo aveva preceduto. Già nei primi anni Novanta, durante la detenzione al super carcere dell’Asinara, alcuni palermitani gli avevano parlato di lui. Era stato soprattutto Pietro Scotto, prima condannato poi assolto dall’accusa di intercettato i telefoni di casa Borsellino, fratello di quel Gaetano, imputato per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie, a raccontargli che «i mandole traseru (inc.) nna nostra famigghia… parlava in siciliano… questo indegno, dice, ci ha rovinati a tutti, ha rovinato a mio fratello, alla mia famiglia … tutti questi cose … parole così». Per Scotto, “u sfregiatu” – ricorda Lo Giudice – «era dei Servizi e che era stato in Sardegna, che è stato in Sardegna, che era sfregiato quello da qua, faceva un segno cosi, dice che l’hanno sparato in faccia forse a questo qua».

LE ACCUSE DI GAETANO SCOTTO Si tocca la guancia destra il pentito, la stessa che Giovanni Aiello ha visibilmente rovinata da una vecchia cicatrice, e con foga aggiunge che Scotto ripeteva spesso «iddu… tutto iddu dici che annau tutte ste cose, iddu a fici scoppiare a bomba, né che a fici scoppiare me frati, che c’entra me’ frati?». Il fratello, Gaetano, all’epoca era latitante perché sospettato di aver partecipato alla strage di via D’Amelio e lui, Pietro durante l’ora d’aria «parlava e gridava e pareva un pazzo». E lo diceva chiaramente, Lo Giudice lo ricorda, che «questo cornuto, dice, ci ha inguaiato a tutti, questo indegno … dice: sono innocente io, non c’entro niente io … e diceva che lavorava alla Sielte insieme alfratello che era latitante, diceva che a suo fratello lo ha inguaiato un certo Giovanni Aiello, diceva Aiello, parlavano di Aiello, un certo Aiello, che era stato lui che aveva confezionato la bomba al dottor Borsellino, che questo era dei servizi segreti».

UOMO DEI SERVIZI Qualche anno dopo Lo Giudice avrà modo di conoscere personalmente Faccia di Mostro. C’erano armi in ballo, si intende dalle poche parti non omissate del verbale, ma circostanze e motivi sono ancora coperti da vistosi omissis, ma qualche dettaglio emerge. Primo, Aiello si presenta come un uomo dei servizi segreti. «Mi diceva che era dei Servizi deviati però non so io – racconta il pentito ai magistrati – Mi spiega che dentro il commissariato c’erano 3 – 4 persone e che gli altri erano tutti all’oscuro, un doppio lavoro». Erano tutti a San Lorenzo, a Palermo, e tutti – afferma il collaboratore – lavoravano agli ordini di Contrada. Lo Giudice fa due nomi «Paolillo o Paolilli e Piazza», altri non ne ricorda. Però rammenta perfettamente quello che Aiello gli ha spiegato su quel “doppio lavoro” «noi prendevamo ordini da Contrada dice, prendevamo ordini da Contrada, quello che abbiamo fatto Contrada sa tutto, dice, tutto quello che è successo».

CONFIDENZE Secondo, quando Aiello arriva a Reggio non è da solo. Con lui, c’è una donna. «Lui mi ha spiegato chi è la donna», si legge nel verbale di Lo Giudice prima che ampi omissis coprano le sue dichiarazioni, «però quando si sbottonava eravamo soli, anche quando io passavo informazioni a lui, eravamo soli». È successo una decina di volte. I due non avevano contatti diretti, gli appuntamenti venivano fissati di volta in volta, oppure – spiega Lo Giudice – «molte volte glie! ‘ho detto al (omissis): rintracciami a Giovanni e digli di passare di qua … oppure che ne so, passava da solo, oppure quando veniva dice: ci vediamo fra 20 giorni, fra un mese». Solo con un altro reggino, Antonio Cortese, l’armiere e artificiere della cosca Lo Giudice, Faccia di mostro aveva contatti diretti. «Andavano a pesca pure insieme» racconta il collaboratore.

COLPA DI MESINA Il pentito riferisce di aver parlato a lungo con Aiello, che gli avrebbe raccontato tanto dettagli sulla sua vita privata- un fratello a Catania, una figlia in Canada – come sulla cicatrice che gli deturpa il volto. «Allora – mette a verbale Lo Giudice – mi ha raccontato che lui era stato mandato, negli anni ’70 se non mi ricordo male, in Sardegna, per dare la caccia al bandito Mesina, come si chiama … Graziano Mesina , e dice che mentre li stavano assaltando Mesina … anzi addirittura dice che Mesina gli ha sparato in faccia». Un modo per rompere il ghiaccio forse, o per indurre Lo Giudice a fidarsi di lui. Perché anche Faccia di mostro aveva bisogno di informazioni.

«L’ATTENTATO DI VIA D’AMELIO L’HO FATTO IO» «Aiello voleva sapere da me com’era la situazione a Reggio Calabria, voleva confidenze, io ho fatto confidenze ad Aiello, come era venuta la pace, chi era, chi, chi è stato, chi dei siciliani era venuto a Reggio Calabria… tantissime cose e quindi a questo punto anch’io chiedevo a lui cose personali e lui mi ha accettato che in Via D’Amelio è stato lui». Al collaboratore, Faccia di mostro avrebbe raccontato anche i dettagli «A preparare la bomba sulla 126, a farla scoppiare è stato lui. A prepararla e farla scoppiare, mi ha detto che era … mi ha detto che era nascosto in un albergo là vicino, in altura, non lo so dov’è, io non ci sono mai stato, mi spiegava, era un albergo in altura». Ma questo non sarebbe stato l’unico delitto che Aiello avrebbe confessato. Ci sarebbe lui dietro il fallito attentato dell’Addaura, come dietro l’omicidio dell’urologo Attilio Manca.

SCIA DI SANGUE In più, a Lo Giudice, Aiello avrebbe rivelato anche di essere il killer del poliziotto Nino Agostino e della moglie, Ida Castelluccio. «Prima noi abbiamo ucciso (..) Nino Agostino insieme a un mio collega …però non mi fa il nome, dice, poi … non mi ricordo se prima o dopo, eh, intendiamoci, io non è che mi ricordo tanto bene, dice: ho ucciso a Piazza, Piazza che lavoriamo nello stesso ufficio … sempre per fatti che l ‘uno ha scoperto all’altro in cose strane». Quel Piazza – spiega il collaboratore – era il secondo uomo che ha aiutato il killer a dileguarsi dopo l’omicidio Agostino. E il killer era Faccia di mostro.

NUOVO MEMORIALE Un uomo tornato come un incubo nei pensieri ricorrenti del collaboratore, che per sistematizzarli ha iniziato a scrivere. E quel memoriale, ricco di dettagli, appunti e riflessioni, adesso è stato integralmente acquisito dalla Dda.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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