MILANO Una manovra a tenaglia. Da una parte i “calabresi” chiamati ad agevolare la “ristrutturazione aziendale” terrorizzando i dipendenti riottosi, dall’altra Alessandro Raineri, oscuro faccendiere con in tasca la Milano che conta, pronto a ungere chi di dovere per ramazzare appalti e lavori. Era questo il piano di Pierino Zanga, personaggio centrale dell’associazione a delinquere sgominata ieri dalla procura di Milano con l’operazione Underground, costata il carcere a 11 persone e i domiciliari ad altri tre.
LE ACCUSE A vario titolo, sono tutti accusati di associazione per delinquere finalizzata «alla commissione di reati di corruzione diretta all’acquisizione di subappalti di opere pubbliche realizzate in Lombardia». Contestati anche reati di natura fiscale, per presunta «utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti» e «indebite compensazioni», e poi ancora la truffa ai danni dello Stato, la bancarotta fraudolenta, l’intestazione fittizia di beni e complessi societari e la «illecita concorrenza realizzata attraverso minaccia e violenza».
L’IMPRENDITORE OMBRA Secondo quanto emerso dalle indagini dei finanzieri milanesi, facevano tutti parte a vario titolo di un’organizzazione articolata che ha finito per mettere in mano alle ‘ndrine i subappalti milionari delle grandi opere tirate su nel milanese, dal collegamento ferroviario tra i terminai dell’aeroporto di Malpensa alla piastra di Expo, fino ai cantieri dell’alta velocità. A spalancare le porte ai calabresi sarebbe stato l’imprenditore bergamasco Pierino Zanga, «formalmente mero dipendente all’interno delle varie società, ma di fatto ‘dominus’ di un circuito di società aggiudicatrici dei vari subappalti per la realizzazione di opere pubbliche».
SPAVENTARE I LAVORATORI Un soggetto spregiudicato, lo definiscono gli investigatori, con alle spalle una storia imprenditoriale fatta di società che aprono e chiudono per sfuggire a Fisco, creditori e Agenzia delle entrate. Uno schema applicato più volte ma che qualche anno fa si complica. Zanga decide di chiudere la Zaffiri costruzioni per trasferire l’attività alle società Aveco e Collimiti, già affidate a comodi prestanome, ma deve sbarazzarsi dei dipendenti «più intraprendenti e scomodi». Per questo chiama i calabresi, spediti in azienda e sui cantieri per “discutere” la questione con quei lavoratori che avevano intuito il raggiro messo in piedi da Zanga e puntavano i piedi.
L’OMBRA DEGLI AQUINO COLUCCIO Secondo il gip Alessandra Simion, per «convincerli» a farsi da parte senza fare troppe storie, Zanga fa entrare nella Collimiti Salvatore Piccoli, ma soprattutto «gregario» di Antonio Stefano, luogotenente del medesimo clan, coinvolto un anno fa nell’inchiesta Acero Krupy. Prima di finire nei guai però anche Stefano era entrato nel giro societario di Zanga, ma secondo indiscrezioni non si sarebbe accontentato di un ruolo da gregario. Anche perché, nel frattempo, le nuove società create dall’imprenditore bergamasco, ottengono subappalti per milioni.
GIRANDOLA SOCIETARIA Aveco incassa lavori per 4,8 milioni nella linea 5 della Metropolitana milanese e Collimiti per 4 dalle Ferrovie Nord Milano, prima di passare la loro attività alla Infrasit, che ottiene un subappalto da 625 mila euro per la Piastra di Expo 2015 e lavori sulla A7 Milano-Genova.
AL GRAN BALLO DELLA CORRUZIONE Tutti lavori che le imprese riconducibili a Zanga avrebbero ottenuto grazie a regali, prebende e favori offerti alla persona giusta al momento giusto. Un orologio di valore e una nottata con una escort sarebbero bastati a comprare l’aiuto di Gian Luca Binato, ingegnere di !tinera, impegnata nei lavori di Malpensa, mentre Massimo Martinelli e Davide Lonardoni, figlio dell’ex direttore generale di Ferrovie Nord, Dario Lonardoni avrebbero preteso tangenti del 2,5% sul valore dei subappalti. Sebbene non fosse direttamente coinvolto nelle assegnazioni, Lonardoni svolgeva infatti un ruolo fondamentale: si occupava di sicurezza nei cantieri, ed è su di lui che le aziende del circuito di Zanga contavano per entrare senza controlli in cantiere. Un particolare non di poco conto per una serie di microaziende nascoste sotto sigle diverse, dietro cui si celava la medesima identità societaria, partorita da Zanga ma per i magistrati finita in mano ai calabresi.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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