Rispondo alla recente riflessione dell’amico professor Ettore Jorio sull’operato del governatore regionale Oliverio, invitato, cito, a «investire sui giovani, che sono innumerevoli sulle gradinate della disoccupazione intellettuale, pronti a giocare altrimenti la “loro partita” altrove».
La Calabria ha uno spopolamento continuo, visibile e amaro ma fuori della statistica. Le ragioni principali di questo fenomeno sono a mio avviso tre: scarsa autonomia e peso irrilevante della politica regionale, progressiva ‘ndranghetizzazione – transeat – degli uffici pubblici e dominio di una cultura in senso lato mafiosa, che reprime il dissenso e condiziona il consenso.
Detto svuotamento della regione consente la sopravvivenza della vecchia – non solo in senso anagrafico – classe politica, la perpetuazione del clientelismo e l’assoggettamento delle masse. Si potrebbe in proposito condurre uno studio scientifico sul rapporto tra panem et circenses – et theatra – dispensati dal palazzo, acquiescenza opportunistica derivante e regresso civile e politico correlati.
A riguardo San Giovanni in Fiore, che è il comune d’origine di Oliverio e del sottoscritto, può costituire un paradigma di riferimento. Infatti la popolazione residente supera i 17 mila abitanti, ma gli stabili sono poco più di 12 mila. Non vado nel dettaglio; tuttavia non è gravoso ottenere una stima di quanti ci vivono dal primo gennaio al 31 dicembre dell’anno. Sul posto ci sono, computando anche i candidati a un’annunciata forma di sostegno del reddito, circa 1.400 destinatari di forme di sussidio, centinaia delle quali commutate in posti di lavoro sino al pensionamento, gestiti molto male dalle postazioni dirigenziali. L’economia è in sostanza sballata da una forza produttiva del tutto insufficiente, in un contesto commerciale – come con Gian Antonio Stella rilevammo nel 2004 – carico di paradossi; 24 autosaloni e 11 macellerie il più significativo.
In breve – tra gli altri lo osservò il compianto consigliere regionale Antonio Acri (Pd) – la politica ha affrontato la disoccupazione in loco ricorrendo all’assistenzialismo spinto, senza mai individuare e perseguire soluzioni strutturali. Per sopravvivere a oltranza, in Calabria il potere locale – pure secondo i meridionalisti come Franco Tassone – ha chiesto aiuto al superiore livello centrale, ottenendone risorse per comprare e silenziare la comunità, così subordinata e tenuta a corrispondere in voti.
È la storia vera, che ha indotto fughe e degrado. L’ambiente riassunto ha prodotto due distinte tendenze evolutive: 1) l’attitudine al sacrificio per partire e adattarsi a nuovi “climi” e costumi; 2) una diffusa pigrizia insanabile, da cui scaturiscono un senso e attivismo civico nulli e una delega in bianco nei confronti del potente di turno.
Mi scuso per la digressione e torno alle questioni affrontate dal professor Jorio, che ha consigliato al governatore Oliverio di ricuperare «l’umiltà che lo contraddistingueva, messa da parte più per paura “dell’altro” che per malafede», in modo «da definire finalmente», con il coinvolgimento di giovani professionisti, «il progetto industriale che serve alla Calabria per uscire dall’inferno».
Non ho potuto afferrare l’esatto significato di «progetto industriale» inteso dall’amico Jorio. Se mi fermassi alla lettera dell’espressione, dovrei rammentare i fallimenti capitali delle esperienze industriali di Crotone, Vibo Valentia e Gioia Tauro, per esempio, aggiungendo che l’indirizzo per l’attuale programmazione europea è un po’ diverso dall’orizzonte industriale, che da molto non realizza più occupazione massiccia.
A prescindere, però, il punto che il sempre generoso Jorio ha saltato a piè pari è uno: Oliverio non può cambiare alcunché, perché il suo approdo alla presidenza della Regione Calabria è frutto di una specifica metodologia amministrativa di cui dirò appena di seguito e di una pratica politica che è l’esatto contrario della responsabilizzazione delle nuove generazioni, dell’investimento sulle intelligenze e sulle energie dei più giovani.
La pervicace ostinazione del governatore sulla nomina di Santo Gioffrè alla guida dell’Asp di Reggio Calabria e sull’allungamento della durata dei commissari delle aziende della sanità sono una riprova di quell’incorreggibile ricorso alle cambiali elettorali che caratterizza la sinistra storica del Pd, divenuta la più avvezza ai patti di coalizione funzionali alla vittoria elettorale a ogni costo. Mario Oliverio vinse le primarie e poi le regionali perché all’epoca era il più bravo in questo tipo di attività preparatoria, legittima ma riprovevole, un limite perpetuo nella concreta amministrazione della cosa pubblica.
Per uscire dal limbo, dalla rassegnazione crescente e dalla propaganda difensiva del governatore, è fondamentale che la Calabria abbia un nuovo timoniere, che sia il più lontano possibile dalle categorie e dalle logiche del giudizio adottate ab origine da Oliverio.
*giornalista
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