Per quanto sia difficile da accettare, raramente siamo in balìa di assassini ignoti e inattesi.
Ancora oggi, infatti, il maggior numero dei delitti purtroppo avviene in ambito familiare e circa nel 12,9% di questi fatti di sangue si parla di “parricidi”, cioè di figli che uccidono i genitori.
C’è da dire che il figlio che arriva ad uccidere un genitore è nella maggior parte dei casi un adolescente, poiché è in quel momento che l’individuo si trova ad affrontare un conflitto maggiore tra il proprio bisogno di autonomia e la propria dipendenza patologica dalla famiglia d’origine.
Quando si parla di soggetti agenti adulti, ci si trova invece di fronte a persone spesso affette da schizofrenia o altri disturbi mentali.
Per tale ragione questa fenomenologia omicidiaria continua a far sorgere non pochi interrogativi scientifici dal momento che, se in alcuni casi la causa scatenante l’uccisione di entrambi i genitori può essere agevolmente ricondotta a ragioni di carattere economico/ereditarie ed in altre rappresenta invece l’ultimo atto di ribellione di fronte ad anni di maltrattamenti ad opera del padre, più difficile è stabilire la causa scatenante il matricidio.
Proprio perché la madre, specie per la civiltà occidentale è una figura che rappresenta uno dei suoi pilastri principali.
A proposito dell’uccisione della madre Wertham parla di “Complesso di Oreste”, poiché analizzando la letteratura scientifica in materia di matricidio emerge che questo tipo di delitto è perpetrato soprattutto da giovani di età compresa tra i 15 e i 20 anni e scaturisce da litigi apparentemente banali, ma a cui sottendono rapporti ambivalenti di odio e attrazione inconsci.
Ed effettivamente banali sembrano essere le ragioni da cui sono scaturiti gli omicidi di Patrizia Crivellaro, uccisa dalla figlia di 17 anni per averle impedito di usare il cellulare, di Patrizia Schettini, uccisa dal figlio anche lui diciassettenne perché lo aveva sgridato ed in ultimo, pare, quello di Giovanna Salerno.
Quest’ultima sarebbe stata uccisa dalla figlia di 22 anni al culmine di una lite, soffocata con un sacchetto di plastica.
Difficile comprendere in che misura le difficoltà del ruolo assunto oggi da un figlio all’interno di in una famiglia sempre più frammentata, possano essere connesse alla violenza e alla devianza.
Di certo le trasformazioni che sta subendo il mondo giovanile mostrano una sempre maggiore difficoltà al dialogo e una evidente incapacità di razionalizzare ed elaborare perdite e fallimenti.
Di conseguenza un qualsiasi problema quotidiano viene vissuto come una responsabilità che sovrasta il giovane e lo opprime, aumentando così la distanza emotiva con i genitori.
Le decisioni imposte e gli eventuali malesseri diventano dunque insopportabili e, pertanto, l’uccisione della madre rappresenta l’estrema rescissione di qualsiasi legame con il nucleo familiare.
*avvocato penalista e criminologa
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