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La ‘ndrangheta transnazionale che l’Ue non vuole vedere

RENDE Dai mercati globali al controllo di paesi fatti di pochi abitanti, o forse sarebbe più corretto invertire il passaggio. Sembra una contraddizione, ma la lunga mano della ‘ndrangheta passa dis…

Pubblicato il: 12/10/2016 – 16:52
La ‘ndrangheta transnazionale che l’Ue non vuole vedere

RENDE Dai mercati globali al controllo di paesi fatti di pochi abitanti, o forse sarebbe più corretto invertire il passaggio. Sembra una contraddizione, ma la lunga mano della ‘ndrangheta passa disinvoltamente alla conquista dei templi del capitalismo moderno, senza tradire «le solide radici nei propri territori», come ha detto Rosy Bindi durante l’inaugurazione dell’anno accademico del Dipartimento di Scienze politiche. E sempre all’interno di questo evento, che aveva visto la mattina pure l’apprezzato intervento della parlamentare europea Laura Ferrara, nel pomeriggio si è svolto un incontro organizzato dallo stesso Dipartimento sulla prospettiva europea della lotta alle mafie e le risposte internazionali. Un tavolo coordinato da Ercole Giap Parini e che per il tema e i relatori ha rivelato subito una sua naturale vocazione tecnica, tuttavia anche in grado di richiamare la presenza di un non piccolo numero di studenti. Nel corso di questo dibattito è emersa la potente ambivalenza delle realtà criminali, capaci di giocare da protagonisti sia sul piano local che global.
In realtà i due universi sono tra loro intimamente legati, perché è il controllo dei territori d’origine che fornisce alla criminalità la forza e perfino il grado di affidabilità per entrare nei salotti buoni dell’economia europea e non solo. È la transnazionalità la cifra contemporanea delle mafie, caratteristica che è in gran parte spesso favorita dall’assenza di una legislazione antimafia nel resto d’Europa, dove lo stesso concetto di “mafia” non viene riconosciuto e con esso si rimanda, semplicisticamente, a un fenomeno propriamente italiano. Si tratta – secondo l’opinione di Nando Dalla Chiesa – certamente di un pregiudizio, un residuale tentativo da parte del resto d’Europa di chiudere gli occhi su una realtà invece fortemente pervasiva. E così accade che il salotto buono di Londra, Regent street, «sia stata comprata con ingenti risorse economiche provenienti dal riciclaggio di denaro», come ha raccontato Giap Parini. Una realtà che fin qui non sembra, a torto, preoccupare eccessivamente i governi dell’Ue. Tuttavia sarebbe un errore continuare a immaginare gli affari delle mafie legate ai traffici palesemente illegali, visto che ormai esiste una sovrapposizione con gli affari formalmente del tutto leciti, come lo smaltimento dei rifiuti. Il rischio dunque è che la presenza criminale dentro le economie finisca per rappresentare “la faccia sporca” dello stesso capitalismo. Tutto questo senza che esista una uniformità legislativa in Europa per contrastare il fenomeno criminale. Questa lacuna è emersa con chiarezza nelle parole di Nando Dalla Chiesa, che racconta come prevalga da parte di molti Paesi europei una sorta di banale esorcizzazione dei fatti, mirata al negare la presenza mafiosa dentro i propri confini. Lo stato delle cose sul contrasto della criminalità appare con ancora maggiore chiarezza nell’intervento di Ernesto Savona, del Transcrime, (Centro universitario di ricerca sulla criminalità transnazionale), nel corso del quale si svela che grazie alle capacità imprenditoriali delle mafie e le disattente leggi internazionali, «tra poco non sarà più possibile confiscare i beni ai mafiosi». L’impedimento viene dal rapido mutare della realtà, che ha reso superata la già ottima legge Rognoni-La Torre (che prevedeva appunto la confisca dei beni). Oggi l’economia globale consente di delocalizzare le risorse e i beni in quei Paesi dove la legislazione non prevede alcun attacco a quelle ricchezze. Di qui la necessità a un urgente aggiornamento delle norme. Dentro queste trame si muove l’analisi di Rocco Sciarrone, che ha proposto il concetto di legami deboli, quei contatti cioè che le mafie non basano, come tradizione, sui vincoli di sangue, ma sulle complicità, sulla flessibilità che caratterizza la citatissima zona grigia. A chiudere il cerchio sono giunte le parole di David Ellero, dell’Europol e di Antonio Miceli, dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode, entrambi assai impegnati nella necessità di trovare una lingua comune in Europa per andare con efficacia alla guerra contro le mafie. In realtà è parecchio forte il sospetto che l’asimmetria legislativa e culturale siano anche una forma di opportunismo da parte di quei Paesi che non sono attrezzati per contrasto delle mafie, perché in tempi di crisi, il denaro non ha odore e dunque conviene non guardare da dove proviene. Mancava nella sala la presenza della politica, alla quale con forza Marta Perrotta, di Libera contro le mafie, ha chiesto di «sbattere i pugni sul tavolo e di dare calci alle porte». Per fare in modo che tutti questi studi sociali trovino la loro traduzione in contrasto reale verso le mafie.

Michele Giacomantonio
redazione@corrierecal.it

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