ROMA Mercoledì prossimo, 19 ottobre, in seduta pubblica, la Corte costituzionale avvierà la trattazione del ricorso relativo alla sollevata incostituzionalità della legge elettorale calabrese.
Una vicenda quasi surreale, visto che il “guaio” lo ha provocato la precedente consiliatura ma gli effetti potrebbero riversarsi su quella attuale, fino ad un possibile annullamento del voto in forza del quale Mario Oliverio è stato eletto governatore e il centrosinistra è tornato alla guida della Regione.
Oddio, anche gli attuali inquilini di Palazzo Campanella ci hanno messo del loro, optando per una interpretazione della nuova norma che ha spianato la strada al ritorno in Regione di Ennio Morrone lasciando fuori, invece, Wanda Ferro, leader del centrodestra e sua candidata contro Oliverio.
L’avvicinarsi dell’appuntamento intensifica voci e illazioni, una cosa tuttavia appare certa: ammettendo la fondatezza del ricorso, la Corte costituzionale ha riconosciuto che la cittadina Wanda Ferro ha visto leso un diritto costituzionalmente protetto, rappresentare la coalizione sconfitta in seno alla massima assemblea regionale calabrese.
Come porre rimedio a tale vulnus? Il Tar, al quale in prima istanza si era appellata la Ferro, ha ritenuto la materia di competenza della Corte costituzionale e ha sollevato la questione inviando gli atti alla Consulta. Nelle more proprio la Consulta, decidendo su una vicenda riguardante la Regione Abruzzo, ha sancito che in regime di prorogatio non si possono adottare norme che non siano di «ordinaria amministrazione». Parimenti ha sancito che il varo di una nuova legge elettorale a ridosso delle elezioni non è certo cosa di «ordinaria amministrazione». La difesa della Regione Calabria ruota attorno al fatto che è stata proprio la Consulta a costringere al varo di una nuova legge, avendo bocciato quella votata in precedenza. Il che, si obietta, è solo parzialmente vero, visto che la Corte non aveva bocciato la legge elettorale calabrese ma, più semplicemente, l’aveva rispedita perché venissero eliminate due “forzature”. La prima riguardava il numero dei consiglieri da eleggere, 40 secondo la legge impugnata laddove la Calabria, avendo meno di due milioni di abitanti, non può eleggerne più di trenta. La seconda istituiva la figura del “consigliere regionale supplente”, soggetto assolutamente inedito e non solo nell’ordinamento italiano. Insomma era sufficiente eliminare queste due storture, invece i consiglieri rimaneggiarono l’intera norma con l’effetto di estromettere dai consiglieri eletti il candidato presidente della coalizione sconfitta, cosa mai accaduta in precedenza.
Inutile dire che essendo l’Italia, come ammoniva un vecchio avvocato, la patria del diritto… e anche del rovescio, chiunque azzarda una previsione rischia di essere clamorosamente smentito. Di conseguenza possiamo solo offrire il ventaglio delle ipotesi che circolano e, alla fine, l’unica cosa certa che abbiamo in mano.
Partiamo dal ventaglio. La Corte potrebbe ricorrere a nuovi rinvii e magari, come accaduto nel caso del Piemonte qualche anno addietro, emettere la sua sentenza quando la legislatura sarà finita: Wanda Ferro prenderà bei soldi ma gli “abusivi” concluderanno tranquillamente il mandato. Potrebbe, invece, rispedire gli atti al Tar dicendogli che in effetti Wanda Ferro dovrebbe stare in consiglio regionale, per cui occorre provvedere in tal senso. Potrebbe, ancora, stabilire che i calabresi hanno votato con una legge incostituzionale e quindi annullare il voto e restituire la parola agli elettori che voteranno con la nuova legge nel frattempo approvata da questa consiliatura. Potrebbe, infine, decidere per l’infondatezza del ricorso e lasciare tutto come è e tutti al loro posto, avrà solo qualche difficoltà nello stendere i motivi della decisione.
E veniamo all’unica certezza: Wanda Ferro ha già deciso di prepararsi ad un conflitto con la Corte costituzionale qualora non gli venga ridato il posto che gli compete, come negli anni è stato per i suoi predecessori. Lo farà trascinando lo Stato italiano e la Corte costituzionale davanti all’Alta corte di giustizia di Strasburgo. Una eventualità che certo non alletta né i giudici della Consulta né il governo nazionale.
Paolo Pollichieni
direttore@corrierecal.it
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