REGGIO CALABRIA L’Antindrangheta dei comunicati. Una commissione parolaia e basta. Qualcuno sa che fine ha fatto la “commissione speciale contro la ‘ndrangheta in Calabria”? Dovrebbe esistere, dovrebbero pure esserci un presidente più altri cinque componenti. Di loro, però – se si eccettuano le onnipresenti note stampa – si sono perse le tracce. Che fa l’Antindrangheta, in concreto? Niente, o quasi niente. Che il centrosinistra al governo non fosse particolarmente interessato al buon funzionamento dell’organismo antimafia, nella regione che dà i natali alla più potente e ricca organizzazione criminale del mondo, lo si era capito presto. Infatti, nonostante il consiglio regionale abbia iniziato le sue attività nel gennaio 2015, l’Antindrangheta è rimasta vacante per un più di un anno. Il suo insediamento risale al febbraio scorso quando, dopo diversi contrasti interni alla maggioranza, riesce a spuntarla l’avvocato e consigliere di “Democratici progressisti” Arturo Bova. Più che legittimo aspettarsi un’accelerazione, un alacre impegno nel segno della proposta politica e legislativa. Non è andata così.
In nove mesi Bova e gli altri membri dell’Antindrangheta (Franco Sergio, Giuseppe Mangialavori, Mimmo Battaglia, Ennio Morrone e Giovanni Nucera) hanno trovato il tempo di riunirsi solo due volte. Due riunioni, tra l’altro, abbastanza interlocutorie. La prima, del 3 febbraio, durata per l’esattezza due ore e 7 minuti, è stata dedicata alle necessarie liturgie della democrazia: l’insediamento del presidente, gli auguri degli altri componenti e così via. Sul finale è stato trovato il tempo di ascoltare il presidente dell’Ordine dei giornalisti calabresi, Giuseppe Soluri, in merito ad alcune intimidazioni subite da alcuni cronisti locali; alcuni amministratori in relazione ai provvedimenti legislativi allora in discussione al Parlamento per la modifica del codice antimafia e delle norme in materia di beni confiscati; l’ex maestro venerabile espulso dal Grande Oriente d’Italia, Amerigo Minnicelli, circa alcune sue dichiarazioni sulle presunte infiltrazioni mafiose nel mondo della massoneria.
FRATELLANZE Già, la massoneria. Molti calabresi sentiranno parlare del nuovo corso dell’Antindrangheta regionale solo in occasione delle dichiarazioni del “capostruttura” dello stesso Bova, Carlo Piroso, che si dimette dall’incarico con gran clamore mediatico in quanto – come specificato da lui stesso – iscritto a una loggia massonica aderente proprio al Goi. La sua appartenenza alla fratellanza non gli avrebbe permesso di continuare a lavorare per Bova, perché era troppo forte il «timore» di una «velina ai giornali che creerebbe un danno al presidente della commissione consiliare antindrangheta». La velina forse non sarebbe mai arrivata: intanto bastano le affermazioni di Piroso a scatenare un putiferio. Bova s’infuria, si giustifica, attacca il suo collaboratore. Poi tutto continua come prima e l’antindrangheta insiste nella sua attività silenziosa.
Durante la seconda seduta del 25 febbraio (durata: due ore e 45 minuti), la commissione riserva altro spazio a Minnicelli per poi convenire sulla necessità di elaborare una proposta di legge per limitare la presenza mafiosa nei settori economico e sociale della Calabria. Da allora l’Antindrangheta non si è più riunita.
La prossima seduta è prevista per il 27 ottobre e prevede la programmazione dei lavori per il 2016 e il 2017 e la discussione su una bozza di legge piuttosto generica: per il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione di una cultura della legalità.
I DOVERI DELLA COMMISSIONE E dire che di cose da fare, l’Antindrangheta, ne avrebbe moltissime. Sono elencate nella sua legge costitutiva, la 50 del 2002 poi modificata da un’altra norma del 2011. Dovrebbe «vigilare e indagare» sulle attività della Regione e sulla regolarità delle procedure e dei finanziamenti; formulare proposte legislative e amministrative per rendere «più incisiva» l’iniziativa di tutti gli enti calabresi nella lotta contro la mafia; avanzare proposte per il «diffondersi di una cultura antimafiosa nella società calabrese». Potrebbe, inoltre, promuovere «inchieste e ispezioni» in Regione e negli altri enti vigilati, richiedere documenti, sollecitare provvedimenti necessari per lo «svolgimento delle indagini». Insomma, un ampio ventaglio di poteri che, se sfruttato, giustificherebbe l’esistenza di una commissione finora pressoché inutile.
ZERO ZERO ZERO È sufficiente visitare il sito web del consiglio regionale per rendersi conto dell’inerzia dell’Antimafia. Provvedimenti licenziati: zero. Provvedimenti in attesa di parere: zero. Risoluzioni: zero. Dossier: zero. Dossier tematici: zero.
Vien quasi voglia di rimpiangere la per certi versi folcloristica attività del predecessore di Bova, Salvatore Magarò, che aveva trovato un modo originale per propagandare – con effetti a volte grotteschi – una cultura mafia free. Ecco la “pasticca antindrina” (dischi al cioccolato e un bugiardino con appunti sociologici rivolti agli studenti) o anche i “paccheri alla ndrangheta”. Per non parlare del cartello “Qui la ‘ndrangheta non entra” piazzato proprio all’ingresso di un Consiglio che ha avuto, solo nella scorsa legislatura, tre eletti finiti in carcere per i loro rapporti con le cosche. Purtuttavia quelli di Magarò erano segni, forse inutili, di vitalità.
I COMUNICATI Bova, invece, sembra esistere solo per mezzo dei classici comunicati stampa. Solidarietà alle vittime di attentati, certo; esortazioni morali contro il fenomeno mafioso, ovviamente: anche questi sono azioni necessarie. Ma bastano a giustificare la presenza di una commissione e di un presidente che, oltre allo stipendio da consigliere, guadagna 1.500 euro in più al mese in virtù della relativa indennità di funzione?
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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