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La corruzione è il cancro della Calabria

La corruzione è divenuto oramai un fenomeno endemico e sistemico della pubblica amministrazione, in quanto tale consolidato e, pertanto,  turbativo del suo andamento. Per questo motivo si è pu…

Pubblicato il: 18/10/2016 – 14:32
La corruzione è il cancro della Calabria

La corruzione è divenuto oramai un fenomeno endemico e sistemico della pubblica amministrazione, in quanto tale consolidato e, pertanto,  turbativo del suo andamento. Per questo motivo si è puntata – solo di recente – l’attenzione del governo tanto da istituire una apposita authority, retta dal magistrato Raffaele Cantone.
L’altro problema, non meno rilevante, è l’oppressione diretta e indotta, esercitata su di essa dalla violenza «mafiosa», un tempo tipica delle regioni del sud (Calabria per mano della ‘ndrangheta).
L’insieme dei due fenomeni, celebrati ma non affatto risolti anche perché non fattivamente aggrediti, ha invaso il Paese (Procura di Roma e Milano, docent), tant’è che i tentacoli del malaffare lato sensu strangolano da tempo persone e istituzioni.
Tutto questo ha determinato un attacco alla democrazia rappresentativa, quella che decide le sorti del vivere civile, per un verso incapace di opporre gli anticorpi giusti. Non solo. Privilegiando spesso la collaborazione passiva fino ad arrivare, in casi fortunatamente non frequenti, ad essere organica ai sopraffattori. Ma anche si attenta al corretto funzionamento dell’apparato democratico produttivo, pubblico e privato, alla cui gestione è preposta l’espressione fisica della volontà della politica dominante, eletta più o meno direttamente.
Gli ambiti privilegiati, proprio perché più segnatamente incidenti sulle condizioni di vita dei cittadini e, quindi, in relazione ad essi condizionabili in termini di consenso elettorale, sono gli appalti in generale, la conduzione degli enti territoriali e la gestione della sanità, riservati dalla Costituzione unicamente alla parte pubblica.
Ebbene, in relazione all’esigibilità dei diritti di cittadinanza e dei diritti sociali, si sta avvertendo in Calabria da un po’ di tempo un clima di profonda preoccupazione, per la pervasiva arbitraria occupazione da parte del «sistema corruttivo» dei punti più nevralgici dell’erogazione dei servizi e delle prestazioni essenziali. Meglio, da troppo tempo si registra una sorta di novellata aggressione all’area pubblica di talune «prepotenze» di tradizionale e recente generazione. Pare, infatti, che tutti i terreni gestori della res publica si stiano rendendo progressivamente destinatari di consistenti «irruzioni», oramai sistemizzate, delle quali sarebbe anche il caso di capire (nel senso di rendere pubblicamente edotte) l’autentica provenienza, tenendo nel dovuto conto quanto abbiamo imparato, spesso troppo tardi, dalle grida di «aiuto» di Nicola Gratteri, per tanto tempo inascoltate.
Insomma in Calabria, se dovesse continuare così, si profila un futuro molto uguale al passato, caratterizzato da un sistema di amministrazione pubblica governato dagli aggressori e sopportato dagli aggrediti, intesi questi ultimi come componenti di una collettività residente, vilipesi nella titolarità dei loro diritti civili e sociali protetti dalla Costituzione.
Vittime sacrificali sono stati principalmente:
– il territorio, scippato delle sue bellezze da una edificazione selvaggia, da una aggressività dell’eolico che non ha eguali nel Paese, per entità e per i vantaggi economici che la politica ne ha tratto, e da una noncuranza delle più elementari tutele idrogeologiche;
–  i giovani, gli eterni presi in giro da una classe dirigente tanto cinica quanto ignorante che ne ha fatto l’uso che ne ha voluto, usufruendo della continuità con i padri destinatari di occupazione spesso indebita e di benefit previdenziali elargiti in loro favore a prescindere;
– un ceto dirigente, arrogante con deboli e debole con i forti, nei cui riguardi è tanto sottomesso quanto riconoscente perché di sovente selezionato al di fuori dei criteri della meritocrazia bensì tra i ranghi familistici dei poteri dominanti.
Il tutto ha generato una società civile che ha raccolto ciò che ha voluto e che è stata governata da chi ha (ahinoi) meritato. Una società oppressa dalla corruzione, sin dall’ingresso del proprio condominio sino al Palazzo, e dal potere mafioso, ovunque mascherato in blazer e cravatta regimental.
Un dramma, questo, che si fa finta di non vedere, dal momento che ivi predomina il benessere dettato dalle pensioni dei nonni, spesso incrementate da quelle di invalidità e dagli indebiti assegni di accompagnamento, attraverso i quali si risolvono i problemi dei nipoti. Ciò senza contare che i primi, per ragioni naturali, sono destinati a morire, con quattrini al seguito, e i secondi sono «condannati» a vivere.   

*Docente Unical

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