Paolo Mieli ricorda Fausto Gullo

COSENZA Tocca al vecchio liberale Ernesto D’Ippolito, presidente dell’Accademia cosentina, presentare “il comunista democratico” Fausto Gullo. Quasi un ritrovarsi tra vecchi cosentini, di quando c’era in città una potente passione politica, aspra, eppure capace essenzialmente di curare il bene collettivo. L’associazione biblioteca “Gullo” ricorda il ministro comunista, l’avvocato pronto a spendersi per le classi subalterne, ma prima ancora l’ufficiale insofferente verso le gerarchie militari durante la guerra, sempre pronto a legarsi “agli ultimi”, che in quel caso erano i poveri soldati di truppa, che quella guerra non capivano, ma subivano. Ma anche il sovversivo, schedato dalla polizia e arrestato. E il ricordo ha anche le tinte della carica emotiva, grazie all’intensità con cui l’attrice Lucia Lavia legge alcune lettere di Gullo. La rievocazione storica di una figura che ha massimamente rappresentato le lotte meridionaliste, avviene sotto il vigile sguardo di Paolo Mieli, giornalista e storico.
Il percorso di Fausto Gullo è quello di chi con maggiore prontezza aveva compreso il mutamento e l’acuirsi della questione meridionale, ma anche il rischio che poteva venire dall’avvicinarsi del suo Pci alla Democrazia cristiana. Infatti per Gullo era chiaro come la vecchia Dc fosse certamente il partito del cattolicesimo popolare, ma pure indubitabilmente un coacervo di interessi e poteri che dovevano essere combattuti. Di qui la sua graduale marginalizzazione all’interno del partito. Un percorso ben narrato da Oscar Greco, che non ha taciuto gli ultimi sussulti dell’impegno politico di Gullo al fianco della sinistra non ufficiale, quella sessantottina, vicinanza che fu sancita dalla presenza delle bandiere di Potere operaio al suo funerale. È Paolo Mieli a fare emergere la modernità della visione politica di “Gullo e di Mancini”, perché le storie delle due famiglie e della loro città non sono separabili. Tuttavia per Mieli c’era una differenza tra Gullo e Mancini, il primo per nulla attaccato al seggio parlamentare. La modernità dal pensiero di Gullo, nell’interpretazione che ne fa Mieli è tutta nella visione meridionalista, che lo porta da ministro, ad emettere nel corso del secondo governo Badoglio, provvedimenti per restituire le terre ai contadini. C’è una apparente contraddizione tra l’essere comunista di Gullo e l’aderire – lui e Togliatti – al governo badogliano. Per Mieli invece è segno di uno sforzo di realismo i cui esiti furono assai utili.
L’essere radicalmente eretico di Gullo emerge nel racconto di Mieli anche nella posizione molto critica nei confronti di parti importanti della Costituzione, cui diede comunque un contributo importante. Ma forse la cifra che di Gullo emerge dal ricordo che si è tenuto nelle ancora nobili sale dell’Accademia è quella della lealtà. «Gullo fu un uomo sempre leale», ricorda Mieli, malgrado le sue posizioni spesso diverse da quelle del partito.
E inevitabilmente, guardare la storia di Gullo e anche di Mancini per Mieli porta a fare un confronto impietoso tra quella Calabria e quella di oggi, che sembra avere smarrito il senso di sé. Al punto che quel che resta «è una forte nostalgia per quella Calabria e quella Italia».

Michele Giacomantonio
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