ROMA La struttura redazionale che cura la trasmissione “Otto e mezzo”, condotta da Lilly Gruber su La7, ha voluto sottolineare con una nota il particolare successo ottenuto dalla puntata di venerdì scorso, dedicata al tema “La legalità al tempo di Renzi”. In studio il procuratore distrettuale di Catanzaro Nicola Gratteri; Pietro Parisi (chef che ha sfidato la camorra); Beppe Severgnini (editorialista del Corriere della Sera).
Nella sua fascia, la puntata ha infatti battuto ogni altra emittente superando anche lo share del Tg1. Secondo il monitoraggio di “Datastampa”, hanno seguito la trasmissione una media di 1.740.000 contatti, laddove per contatto si intende un apparecchio televisivo sintonizzato su quel programma: ne consegue che almeno tre milioni di italiani hanno tenuto ferma la loro attenzione sulla puntata, in apertura della quale si è discusso della politica fiscale ed economica del governo Renzi che prevede, tra le altre cose, la voluntary disclosure che, secondo gli esperti, potrebbe favorire il riciclaggio.
Padrini e padroni
Spazio ha trovato, subito dopo, la storia di Pietro Parisi, giovane chef di successo che ha denunciato i tentativi di estorsione respinti a Napoli, dove ha aperto alcuni ristoranti. Nicola Gratteri, invece, ha fornito dati e cifre di un fenomeno, quello del reimpiego del danaro sporco in attività imprenditoriali, sociali e politiche, che sta minando le fondamenta dello stato di diritto. Gratteri ha anche accennato, su domanda della conduttrice, alla sua ultima fatica letteraria: con lo storico Antonio Nicaso ha portato, in questi giorni, in libreria “Padrini e padroni. Come la ‘ndrangheta è diventata classe dirigente”, edito da Mondadori.
Essere onesti spesso non basta
Stimolato anche dalle osservazioni di Beppe Severgnini, Gratteri ha posto l’accento sulla necessità di favorire e far crescere il rapporto tra magistrati, uomini delle forze di polizia e cittadini. «Spesso – ha sottolineato Gratteri – la gente non denuncia e comunque non collabora perché non si fida di noi. Ripeto sempre ai miei giovani colleghi e anche a poliziotti, carabinieri e finanzieri che con noi collaborano, che è molto importante non solo essere onesti, ma anche apparire onesti. Occorre avere regole anche nella vita privata, essere d’esempio, frequentare luoghi e persone che non diano adito a equivoci. La gente giudica la nostra affidabilità basandosi molto su queste osservazioni. Noi non conosciamo gli altri ma gli altri conoscono noi, ci guardano, ci pesano, ci misurano soprattutto per come viviamo nel privato».
E se la provocazione è sui magistrati che entrano in politica, Gratteri non si tira indietro: «Non mi scandalizzo, anzi ritengo sia un diritto da rispettare. Solo che vorrei una norma che stabilisca che se un magistrato si presenta in qualsiasi campagna elettorale come candidato, esca definitivamente dalla magistratura».
E giacché si trova, ne approfitta per incassare, dopo un anno dalle sue esternazioni che gli provocarono qualche “nemico” eccellente nel mondo del giornalismo, il riconoscimento delle sue ragioni quando ammoniva su un certo modo di rappresentare le mafie nei serial televisivi.
Cattivi maestri e falsi eroi
Le ragioni le ha ribadite anche venerdì sera: «Totò Riina viene considerato un mostro e odiato anche dentro Cosa nostra, a vedere la fiction televisiva a lui dedicata, però, si trae l’idea di una brava persona che camminava a braccetto con la moglie e curava i figli. Uno che si è fatto da solo, partendo da contadino di Corleone per diventare padrone della Sicilia». Anche su Gomorra, alla sua seconda serie Tv, Gratteri insiste: «È cattiva informazione, di fatto finisce con l’offrire modelli devianti e ingrossare le fila della camorra». Stavolta, però, non è solo. Il giovane chef Parisi condivide: «Ho un ristorante a Napoli che sta davanti a una scuola media. Osservo quei ragazzi imitare anche nella gestualità e nel linguaggio i Savastano. Per loro non sono dei criminali ma della gente che sa come prendersi tutto nella vita».
L’autocritica di Severgnini
E Severgnini fa autocritica: «Un anno fa scrissi un pezzo per il New York Times per dire che consideravo una ottima cosa l’aver portato Gomorra al cinema e in un serial televisivo. Ero in buona fede perché ritenevo che l’aver concentrato tutto sui malvagi, lasciando fuori lo stato e chi ai malvagi da la caccia, avrebbe creato una forte ribellione. Ho dovuto prendere atto che invece i primi a menar vanto ed utilizzare per accrescere la loro fama criminale e la loro capacità attrattiva sui giovani, sono stati proprio i capi di quelle organizzazioni mafiose».
Scrittori elitari e antimafia “operaia”
La verità è che anche in questa occasione, grazie alla sapiente conduzione di Lilly Gruber, è emersa la differenza tra chi parla e scrive di cose che non capisce e soprattutto non conosce e chi, invece, sta sul campo da “operaio” della lotta alla criminalità mafiosa. E infatti restano ammutoliti quando Gratteri spiega loro le ragioni per le quali, insieme a Nicaso, chiesero (inutilmente) all’Unione europea che li aveva con vocati come esperti, di ritirare le banconote da 500 euro. «Sono quelle preferite dai narcotrafficanti: un milione di euro ingombrano poco e pesano appena più di un chilo. L’equivalente in dollari pesa cinque volte di più. Così siamo arrivati all’assurdo che in America latina se gli dai una banconota da 500 euro ti danno in cambio l’equivalente di 520 euro». Insomma c’è chi la mafia la racconta scrivendo quel che ha capito del lavoro degli altri e chi, invece, lo fa seguendone quotidianamente l’evoluzione e cercando di prevenirne le strategie.
red. cro.
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