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«Abbiamo sbagliato a puntare su Crisci»

RENDE La quiete delle colline di Arcavacata è un inganno. Tra i Cubi, che nel fine settimana si svuotano e il ponte Bucci, che il lunedì torna a brulicare di vita, ci si prepara alla resa dei conti…

Pubblicato il: 24/10/2016 – 10:02
«Abbiamo sbagliato a puntare su Crisci»

RENDE La quiete delle colline di Arcavacata è un inganno. Tra i Cubi, che nel fine settimana si svuotano e il ponte Bucci, che il lunedì torna a brulicare di vita, ci si prepara alla resa dei conti e non sarà né rapida, né indolore. L’ammutinamento contro il rettore Crisci è rapidamente giunto a un punto di non ritorno, con ogni mediazione bruciata non solo dai toni, ma soprattutto dalle posizioni apparse subito inconciliabili. Eppure la rivolta è partita proprio da quanti con maggiore convinzione avevano portato Crisci al governo dell’Ateneo. «In quel momento l’allora preside della facoltà di Scienze rappresentava la discontinuità con la gestione di Latorre, senza essere tuttavia elemento di rottura», spiega Raffaele Perrelli, direttore del dipartimento Studi umanistici, all’epoca uno dei grandi elettori di Crisci e ora suo severo critico. Quella discontinuità, sia pure moderata, secondo Perrelli non c’è stata, anzi da subito la promessa gli è apparsa come tradita. E tuttavia il gruppo che fortemente aveva voluto che Crisci diventasse rettore ha atteso, «dando tempo al promesso mutamento». L’obiettivo mancato secondo Perrelli è quello di avviare una inversione di tendenza, un compito difficile e tuttavia ineludibile, per affrontare «il declino delle università pubbliche che dalla Gelmini in poi è particolarmente marcato».
Dentro questo declino a soffrire maggiormente sono le università meridionali e questo dolente giudizio è condiviso da Francesco Raniolo, direttore di Scienze Politiche. Raniolo in questo scontro che infuria tra i Cubi rappresenta una voce fuori dalla mischia e tuttavia non esita a riconoscere la necessità di un significativo cambio di passo, che però deve coinvolgere tutte le università, particolarmente quelle meridionali che devono coordinarsi per fare lobbying presso il governo ed esigere unitariamente una rinnovata attenzione. Mancando questa ed essendosi drasticamente ridotte le risorse, le tensioni tra i dipartimenti di radice umanistica e quelle propriamente scientifiche si sono acuite e il concetto di «qualità – di per sé apparentemente asettico e condivisibile – ha mostrato la sua vera faccia, quella della ghigliottina per il sostegno della didattica e della ricerca».
Lo sguardo che getta Perrelli sull’Unical è emotivamente più amaro. «L’università ha mancato il suo compito, non è stata il lievito di crescita che sarebbe dovuta essere». Pur non disconoscendo che sono moltissimi i calabresi che si sono salvati con l’opportunità di poter proseguire gli studi, Perrelli spiega che «l’aver salvato i singoli non implica aver cambiato il sistema». Il rinnovamento mancato doveva essere rappresentato da una complementarità tra le facoltà umanistiche e quelle scientifiche, esattamente come avviene da tempo presso le più avanzate università occidentali. Un progetto culturale che con Crisci, eletto per realizzarlo, «non è mai partito, facendo emergere la sua inadeguatezza». E oggi, nel clima infuocato che ha conosciuto parole spesso oltre le righe, Perrelli ammette che puntando su Crisci «abbiamo sbagliato».
L’ex direttore del dipartimento di Fisica, Riccardo Barberi, nello scontro in atto occupa una posizione terzista e subito si affretta a spiegare che il clima «da campagna elettorale che sembra essersi avviato non giova». Il timore è che ci si logori in una non si sa quanto lunga guerriglia, improduttiva in questa fase, «perché le campagne elettorali servono per vincere su un avversario, mentre oggi serve individuare i problemi». Che si colgono se si guarda dentro le pieghe dell’Unical, in grado di avere buoni numeri di iscritti alle triennali, ma debole nelle lauree magistrali e dunque anche nel prosieguo in termini di dottorati. «Questa debolezza – spiega il fisico – è certamente causata dalla fragilità del tessuto sociale ed economico del territorio, ma è su questo che si deve intervenire. Maggiori collegamenti, stimoli che dalla ricerca debbono venire all’autoimprenditorialità, dare vita a una visione a lungo termine del ruolo dell’Unical nel territorio». Si tratta insomma di decidere ora che cosa vuole essere il campus tra dieci anni e lavorarci. Una proposta che ad oggi appare difficile da realizzare, anche perché non c’è nell’ateneo qualcuno in grado di prevedere gli sviluppi di questo scontro.
Crisci continua il suo mandato difendendosi dagli attacchi che definisce personali, ed è probabilmente in grado di resistere forse anche a lungo, pur essendo oggi certamente più debole di prima, avendo perso per strada gran parte delle forze che lo hanno sostenuto. Saranno i rapporti di forza che instancabilmente si stanno componendo a decidere se la quiete apparente delle colline del campus sarà presto interrotta.

Michele Giacomantonio
m.giacomantonio@corrierecal.it

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