MILANO «Abbiamo fatto il 70% dei lavori». È bastata questa frase di Giuseppe Colelli, formale proprietario di Infrasit e fondamentale concorrente esterno per la joint venture di ndrine che nel cemento milanese ha riciclato i soldi del narcotraffico, per mandare in fumo anni di retorica sulla sicurezza in Expo.
L’EXPO DEI CLAN Nella pancia della grande e contestata manifestazione i clan c’erano. E hanno costruito persino il padiglione con cui l’Italia si è messa in mostra in Expo, insieme a quello di Cina ed Ecuador, più la piastra, tutte le rampe d’accesso e la rete fognaria. Stando a quanto lo stesso Colelli racconta a un funzionario di banca da spera di ottenere un fido, «gli operai – si legge nella sintesi della conversazione – li ha usati per fare tutti i cluster dell’Expo» e Probabilmente, i clan si sarebbero dovuti occupare anche dell’appalto per le Vie d’acqua, costato posto e libertà all’ex manager della manifestazione, Antonio Acerbo. Tuttavia «là c’è stata la tangente più grande in assoluto.. il 50% di preventivo di quel lavoro è una tangente» – ammette Colelli – «quindi le opere si fanno tutte tranne quella».
SUBAPPALTO CON IL TRUCCO Con buona pace dei tanto sbandierati controlli, la ‘ndrangheta in Expo ci è entrata e ci ha messo radici. Come? Il meccanismo era semplice. Bastava un subappalto sotto soglia – quando i ritardi iniziavano ad accumularsi fissata addirittura a 600mila euro – e una ditta apparentemente pulita, per sparire dal radar di inquirenti e investigatori, dislocati a Milano proprio per monitorare la manifestazione. Nei cantieri dell’esposizione, i clan sono entrati sulle spalle della Co.Ve.Co. società cooperativa per azioni, che ha incassato subappalti dalle società Viridia o Itinera, che ai clan hanno assicurato milioni.
COMMESSE MILIONARIE Nelle carte non c’è un conteggio preciso del valore dell’appalto, ma le cifre di cui parlano Colelli e soci sono da capogiro. «Sto aspettando dei pagamenti da parte di Expo di circa 800mila euro, e 400mila da Viridia», dice Pino Colelli al telefono. In un’altra occasione, sottolinea che Colossi convinti o costretti a lavorare con le società dei clan, stanate solo grazie – si legge nel provvedimento – «a sopralluoghi e intercettazioni».
SMANTELLAMENTO Lavori per milioni, incassati dai clan, pronti a banchettare sulle ceneri della manifestazione anche dopo la chiusura dei battenti. Se lo lascia scappare il padre di Colelli, Francesco Piccoli, che al telefono con il figlio segnala di aver «sentito in televisione che parecchie cose andranno smantellate», quindi lo invita ad informarsi, per strappare un nuovo affare. Colelli taglia corto. «Non lo so, adesso vediamo, e m’informo», dice al padre. Il formale padrone di Infrasit sa che si tratta di un buon affare, ma preferisce temporeggiare e mettere in ordine le carte. Anche perché i criteri di selezione prevedevano «un OG 1 e un OG 3, uno una sesta e uno una quinta» e in più – spiega – vogliono 40mila euro.
QUESTIONE DI SCHERMI Il problema – spiega Piccoli, sorpreso a parlare di questo genere di appalti in un’altra occasione – è che «mentre noi qua lavoriamo facendo principalmente prestazione di manodopera senza anticipare per altri». Con una ditta creata per l’occasione invece «si tratta di prendere direttamente gli appalti – si legge nella sintesi della finanza – quindi di garantire lo stipendio agli operai ed i fornitori, cemento, strade. Sono appalti pubblici», afferma il “capo” della Infrasit, che ha ben presente come gli unici appalti cui possano aspirare siano le categorie OG1 – OG6. E per questo teorizza «se mi dicono di operare in una direzione io opero in una direzione, se si tratta di operare in un’altra direzione vado in un’altra direzione, l’importante é essere chiari, sapere l’obiettivo da conseguire e creare gli strumenti per arrivare agli obiettivi». Soprattutto se a definirli è la ‘ndrangheta.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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