REGGIO CALABRIA Prima l’imprenditore, poi lo scienziato. Prima la cautela, se non la paura, di chi lavora principalmente con le pubbliche amministrazioni, poi la sfrontata indignazione di chi ha dalla sua la consapevolezza di poter vendere i propri brevetti al miglior offerente. Sentiti entrambi come testimoni al processo Scajola, interrogati dal pm Giuseppe Lombardo cantano la stessa canzone: nel febbraio 2014 Claudio Scajola ha cercato di procurare un impiego a Chiara Rizzo, in modo che potesse continuare a stare nel principato di Monaco, dove è necessario dimostrare di avere un reddito per poter vivere.
LA RICHIESTA DI LELLI A bussare alla loro porta però non è stato l’ex ministro, ma uno dei suoi uomini, l’ex presidente dell’Enea, Giovanni Lelli, proprio in quel periodo scelto come commissario per il traghettamento dell’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente (Enea) all’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. A lui, Scajola – all’epoca ministro dello Sviluppo Economico – avrebbe chiesto una mano per trovare un impiego a «una donna lasciata sola e senza reddito da marito, con figlio a carico» ed è lui a contattare l’ingegnere Antonio Della Corte, presidente della Icas, consorzio di cui fanni parte Enea, Tratos e la combattiva Criotec dell’imprenditore Guido Roveta per chiedergli il “favore” di valutare l’assunzione della signora.
NULLA DI IMPEGNATIVO A livello economico, la cosa – emerge dall’audizione dei due testimoni – a detta di Lelli non sarebbe stata troppo onerosa: mille euro al mese per un anno al massimo. Poca roba per un consorzio dal fatturato annuo milionario come la Icas. «Noi siamo i migliori», ripete fino allo sfinimento l’ingegnere Della Corte. Peccato che Lelli non avesse mai parlato dell’aspirante dipendente. Si trattava di Chiara Rizzo, all’epoca messa nei guai dalle peripezie giudiziarie del marito, i cui conti rischiavano di essere bloccati dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
UNA BRUTTA SORPRESA Né Roveta, né Della Corte lo sapevano. Lo hanno scoperto – e ne sono rimasti sconcertati – quando Rizzo, finalmente, si degna di incontrarli per un colloquio. Al primo, fissato a Roma, la signora aveva dato buca per un presunto malore del figlio. Al secondo, sorride e conferma quel che dice Scajola, che con nonchalance – raccontano i due – la presenta come la moglie dell’amico e collega di partito, Amedeo Matacena, da tempo a Dubai perché inseguito da una condanna definitiva per mafia.
UN CURIOSO COLLOQUIO E tra mille forse Roveta, in maniera netta Della Corte confermano: l’ex ministro ha parlato chiaramente dei problemi di mafia di Matacena. Nessun riferimento invece è stato fatto alle competenze della signora, se non una certa dimestichezza con la lingua francese. «Il suo curriculum era assolutamente insufficiente e scarno, per questo non abbiamo neanche pensato di assumerla» dice Della Corte.
LA RABBIA DI DELLA CORTE L’ingegnere è arrabbiato. Non gli è piaciuto che il suo nome finisse sui giornali in relazione a un’inchiesta antimafia, anche se solo come testimone, si sente responsabile per aver coinvolto Roveta ed è ancora arrabbiato con Lelli «per avermi messo in questa situazione». Non gli piace – ed è evidente – dover relazionare in un’aula di tribunale e meno che mai gli piace l’ex ministro, seduto fra i banchi degli imputati e contro il quale più volte l’ingegnere punta il dito. Per colpa sua e di Lelli – spiega – «quando vai a cercare il mio nome non si legge ha fatto questo o ha fatto quello, ma viene fuori questa storia. È brutto». Lo sa perché lui per primo appena tornato a casa, dopo aver incontrato Rizzo e Scajola, ha fatto una personalissima indagine sulla donna per capire chi avesse davanti. E sono bastati un paio di link per indurlo a chiamare Roveta e dire no a qualsiasi forma di collaborazione con Rizzo.
SOSPETTI D’altra parte, l’incontro con la donna e Scajola era bastato a fargli sentire puzza di bruciato. «Dopo il colloquio, parlando con Roveta, commentavamo che ci è sembrato strano. Ci aspettavamo una donna umile, dimessa. Sono mie sensazioni, non sono fatti, ma si diceva… una donna così, vestita benissimo, curata, etc, cosa se ne fa di mille euro se vive nel Principato di Monaco? Niente, non ci fa niente». La stessa considerazione fatta da investigatori ed inquirenti, secondo i quali quel contratto non era che un mezzo – necessario – per permettere a Rizzo di mantenere una strategica residenza nel principato di Monaco, piccolo paradiso finanziario su cui triangolavano molte delle società della galassia Matacena, che per il pm Lombardo i coniugi hanno per lungo tempo abilmente occultato.
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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