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Vibo Valentia, il fattore criminale nell'economia

VIBO VALENTIA «Contro una criminalità organizzata è necessaria un’altrettanto organizzata legalità». Sono le parole che Michele Lico, presidente della Camera di commercio di Vibo Valentia, utilizza…

Pubblicato il: 27/10/2016 – 21:27
Vibo Valentia, il fattore criminale nell'economia

VIBO VALENTIA «Contro una criminalità organizzata è necessaria un’altrettanto organizzata legalità». Sono le parole che Michele Lico, presidente della Camera di commercio di Vibo Valentia, utilizza per presentare il rapporto finale di Monitor, il progetto che ha analizzato la vulnerabilità del tessuto economico e sociale e imprenditoriale della provincia e la capacità di penetrazione della ‘ndrangheta. «Il sistema camerale si rende parte attiva per affermare legalità, trasparenza e sicurezza partendo dai dati che – continua Lico – possono sviluppare conoscenza e consapevolezza». Un lavoro sinergico e “organizzato” appunto, tra la stessa Camera di commercio, Transcrime (Centro di ricerca dell’università Cattolica di Milano) e del suo spin-off Crime&tech e gli indicatori sviluppati dal progetto Insider, promosso insieme alla Camera di commercio di Crotone grazie all’impegno del segretario generale di entrambi gli enti Donatella Romeo. I dati che sono emersi possono essere fruiti da vari soggetti sia pubblici che privati: dal sistema camerale alla pubblica amministrazione, alle forze dell’ordine e all’autorità giudiziaria, alle imprese, agli investitori e alle banche. Dal rapporto si evince come vi siano una serie di fattori di rischio che possono essere di contesto, di governance e assetto proprietario e di tipo economico-finanziario. Tali indicatori, combinati con le evidenze emerse da rapporti della Dia e della Dna o dalle operazioni giudiziarie, hanno permesso di individuare i settori dell’economia più a rischio.

IL CONTESTO SOCIO-ECONOMICO E IMPRENDITORIALE Istituita nei primi anni 90 insieme a Crotone, la provincia di Vibo conta 162.516 abitanti (secondo i dati aggiornati al 2015), di cui il 4,5% risulta essere di nazionalità straniera. L’economia ha segnato una lenta ripresa in seguito alla crisi economica degli ultimi anni. Ciò ha fatto segnare un lieve miglioramento anche per quanto riguarda l’occupazione: 18,4% il tasso di disoccupazione, inferiore anche alla media nazionale. Per quanto riguarda il tessuto imprenditoriale, invece, nella provincia sono presenti 11.772 imprese attive. I settori maggiormente diffusi sono quelli del commercio, all’ingrosso e al dettaglio. Seguono poi l’agricoltura e le costruzioni.

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I RISCHI CRIMINALI La provincia di Vibo Valentia è al terzo posto (dopo Napoli e Reggio Calabria) secondo l’indice di presenza mafiosa elaborato da Transcrime nel 2013. I comuni che si distinguono per una maggiore presenza di gruppi criminali sono Vibo, Sant’Onofrio, Stefanoconi, Pizzo, San Gregorio d’Ippona e Filadelfia. Nella parte occidentale, troviamo invece Limbadi e Tropea. Gli omicidi di tipo mafioso, nella provincia vibonese hanno una media annua di 1,6 ogni 100 mila abitanti. Il dato, che supera di 5 volte quello nazionale, è stato amplificato dalla “nuova faida dei boschi”.
Vibo è la seconda provincia italiana e calabrese (seconda solo a Reggio) per infiltrazioni della criminalità organizzata nell’economia legale. Sono 20 le aziende registrate che, tra il 1983 e il 2012, hanno subito una confisca definitiva, circa il 10% di quelle attive. Riguardano i settori del commercio, delle costruzioni e delle attività estrattive. Le cosche si sono infiltrate maggiormente nel settore delle estrazioni e dell’edilizia, che permettono di accedere più facilmente agli appalti pubblici. Alcuni esempi sono gli interessi dei Tripodi di Vibo per la ricostruzione post-alluvione 2006 e gli interessi dei Mancuso di Limbadi nei lavori di ammodernamento dell’A3. Il litorale vibonese ha visto l’ingerenza delle cosche nel settore turistico (ristorazione, alberghi e villaggi turistici) e nel trasporto marittimo. Nel settore immobiliare la contaminazione è stata significativa soprattutto in aree extraregionali, in Emilia e nell’area di Roma. Le infiltrazioni delle cosche sono testimoniate anche dalle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette: 5,7 segnalazioni per sportello, dato superiore sia a livello regionale che nazionale. Tutto ciò ha influenzato il grado di sicurezza del mercato locale. Infatti corruzione e riciclaggio rappresentano i maggiori fattori di sfiducia dell’economia vibonese.
Non va molto meglio nella pubblica amministrazione, dove tra il 1991 (anno dell’istituzione della legge sugli scioglimenti degli enti pubblici) e il 2016, il rapporto tra i provvedimenti e il numero dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa è del 66%, uno dei più alti in Italia.

I FATTORI DI RISCHIO INFILTRAZIONE Tra gli indicatori di rischio del contesto, rilevante è l’intensità di denaro contante, che permette di aumentare il riciclaggio e la possibilità di infiltrazione. La provincia di Vibo nel solo periodo 2011-2015 ha segnato un 91%, valore superiore sia rispetto alla regione che rispetto al livello nazionale. Il riciclaggio spesso è funzionale anche ad un’economia sommersa e quindi a un incremento dell’evasione. Anche in questo caso Vibo e la provincia superano i livelli nazionali, a causa anche della crisi economica degli ultimi anni. L’Agenzia delle entrate ha inserito Vibo tra le 17 provincie che si distinguono per pericolosità fiscale e sociale.
Il pericolo a livello di governance e assetto proprietario è segnalato dal fenomeno dei prestanome, soprattutto all’interno della cerchia familiare. Infatti gli intestatari generalmente rientrano nelle categorie meno esposte a rischi di precedenti penali, quindi giovani sotto i 25 anni o anziani con più di 75 anni. Secondo dati Transcrime, le aziende intestate a soggetti “a rischio” sono il 7,1%. Così come anche la governance femminile rappresenta un rischio minore: il 30% delle imprese confiscate in via definitiva era intestato ad una donna.
Altro elemento preso in esame e che può essere considerato anomalo, è la presenza di soci stranieri o amministratori provenienti da paesi considerati a rischio. Nella provincia di Vibo il 6,6% delle imprese ha delle influenze straniere. Un dato, questo, inferiore alla media regionale e che denota anche la chiusura dell’economia locale e i ridotti investimenti esteri.
Infine, tra i fattori di rischio economico-finanziari, c’è l’alto attivo circolante che riguarda il 40% delle imprese nella provincia. Attivo che, all’interno di ogni singola realtà imprenditoriale, rappresenta il 51,1% del totale. Tra i motivi che vengono elencati nel rapporto, c’è l’utilizzo dell’attivo come “cartiera” per riciclare il denaro e quindi minori investimenti e immobilizzazioni, utilizzarlo come cassa per attività illecite e perché in caso di indagine patrimoniale è più semplice minimizzare gli effetti della confisca.

Adelia Pantano
redazione@corrierecal.it

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