COSENZA Ha subìto minacce, attentati, auto e furgoni incendiati. Ha denunciato ogni cosa Giuseppe Lariccia, imprenditore di Bisignano. Ha denunciato sempre e senza temporeggiare un secondo. Oggi, più di ogni altra cosa, si sente vittima di un’ingiustizia, di una legge dello Stato che, è convinto, porta parametri sbagliati e deleteri. Perché, nonostante gli atti intimidatori e le denunce, non rientra nello status di testimone di giustizia in base alla legge 44/99 “Disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura”.
A questo punto Giuseppe Lariccia – che si è rivolto allo sportello “Sos Giustizia” di Libera – ritiene di avere un’ultima carta da giocare per riscattare la sua vicenda di “vessato” dalla criminalità organizzata: rivolgere un appello ai collaboratori di giustizia del cosentino. «Chiunque (collaboratore di giustizia o semplice cittadino) a qualsiasi titolo è informato sui fatti, mi aiuti a scoprire chi ha bruciato i miei automezzi e chi ha boicottato la mia attività perché non ho pagato, sia esso, un “mafioso di paese” o un “capo mandamento”», scrive Lariccia affidando questo appello a una relazione nella quale racconta la propria storia e che ha condiviso con il Corriere della Calabria. Ma procediamo con ordine.
IL PASTIFICIO L’attività del pastificio Lariccia ha inizio nel 1998 quando l’imprenditore decide di ampliare, a livello industriale, l’attività con la quale lui e sua moglie avevano cominciato, un negozio di pasta fresca.
«La mia ex/azienda (Pastificio La Riccia-Cosenza-Calabria) anche se appena nata – scrive – a suo tempo era ben strutturata, nata a seguito di un significativo bagaglio di esperienze iniziate molti anni prima con il primo negozio di pasta fresca. Purtroppo sono stato oggetto di attenzionamento occulto da parte del racket delle estorsioni, che nella mia zona ha interessato parecchie aziende, sin dalla posa della prima pietra». Il pastificio sorgeva nella zona industriale di Bisignano e la produzione è entrata a regime nel 2003, con 15 dipendenti all’attivo. Ma prima che si arrivi a questo punto, già con la posa della prima pietra, si manifestano le prime intimidazioni che, puntualmente, Lariccia denuncia ai carabinieri della stazione di Bisignano. Ai militari fa mettere nero su bianco che il suo furgone Ford Courrier è stato rubato e dato alle fiamme. E poi la telefonata anonima: «Prepara 30 milioni altrimenti farai la fine del furgone». Le attenzioni minatorie che subisce, però, rimangono sempre «occulte». Il bilancio delle intimidazioni che si sono susseguite negli anni comprende due furgoni e quattro auto date alle fiamme, una bomba posta all’entrata del pastificio e continue richieste di denaro.
«Io ho deciso subito di non aderire alla benché minima richiesta – scrive –. Questo, se da una parte ha determinato una “chiara visione” della mia posizione nei riguardi dei “malfattori”, che puntualizzo, non ho avuto il “piacere” di conoscere, ha determinato come conseguenza nel giro di pochi anni la chiusura dell’azienda, con la perdita netta di tutto il mio capitale di anticipazione e la delocalizzazione del mio interesse lavorativo all’estero». Nel 2006 l’azienda cresciuta nell’area industriale di Bisignano e che aveva cominciato ad esportare anche all’estero, chiude e viene trasferita in Germania. Ma lì la sua sorte non sarà felice e nel 2010 l’attività cessa definitivamente.
UN MENDICANTE DEL LAVORO Oggi Giuseppe Lariccia si definisce “un mendicante del lavoro”. Per tre volte ha chiesto la qualifica di testimone di giustizia e gli è stata negata. «Succede che per “acquisire” la qualifica di testimone di giustizia – scrive – e quindi essere potenzialmente e giustamente tutelato da prospettate nuove disposizioni legislative, oltre ad aver denunciato i rispettivi atti intimidatori o peggio, eventuali lesioni personali, si deve aver “procurato” l’incriminazione e/o l’arresto di qualche “malfattore”».
Lariccia non indugia in diplomazia e specifica con parole più esplicite: «Se non hai dato una “contropartita” allo Stato, facendo arrestare almeno un malfattore; se non sei stato fisicamente colpito da pallottole, bombe e coltellate; se non ti sei procurato un numero infinitesimale di targhe e di encomi», non vieni riconosciuto come testimone di giustizia. Secondo l’imprenditore, non avendo egli mai pagato, né mai cercato un accordo con coloro che lo minacciavano non ha mai avuto modo di conoscerne nomi e volti. «L’attività investigativa delle Forze dell’ordine non ha individuato gli autori dei misfatti, benché il sottoscritto in ogni denuncia abbia espressamente richiesto il perseguimento giudiziario se individuati». Dal canto suo, Lariccia ritiene di avere fatto il proprio dovere, con i tempi i giusti modi, ha denunciato subito. «Qui dovrebbe finire il compito/dovere dell’Imprenditore», scrive. La natura dei misfatti non è stata mai chiarita dagli investigatori e questo ha rinchiuso Giuseppe Lariccia in un limbo dal quale, a 56 anni, non riesce a uscire. Si considera un «vessato di serie B», perché non è mai sceso a patti, non ha dato il tempo ai suoi vessatori di manifestarsi. E di questo oggi paga il prezzo. Assistito dall’avvocato di Sos Giustizia, Michele Gigliotti, l’imprenditore lancia un appello ai collaboratori di giustizia di Cosenza: «Aiutatemi a scoprire chi ha boicottato la mia attività».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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