REGGIO CALABRIA «Il mio sogno era quello di fare il procuratore capo di Reggio, ma le cose poi sono andate diversamente. Forse frequentavo troppo poco la città e molto il mio ufficio». Al termine della presentazione reggina della sua nuova fatica letteraria, scritta a quattro mani con Antonio Nicaso, l’attuale procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri si lascia andare ad un pizzico di spudorata e rea confessa nostalgia.
UNA CARRIERA CONTRO «Fin da quando il tribunale era nei locali di piazza Castello e poi al Cedir, ho visto la crescita di una grande procura a Reggio Calabria». Un lavoro non semplice per Gratteri, sempre poco amato e bersaglio di critiche e sgambetti. «Anche fare il procuratore aggiunto non è stato facile, perché c’era chi riteneva che non fossi capace. Ma questo non è un problema. Poi sarà la storia a dire chi è ognuno di noi e cosa valga, non chi ricopre temporaneamente posti di responsabilità».
SCELTA OBBLIGATA A Catanzaro, racconta Gratteri, ci è dovuto andare per forza. Pena, perdere decenni di esperienza e di lavoro nel contrasto alla criminalità organizzata e tornare a lavorare come pm di ordinaria. «Non avevo scelta – dice quasi mesto il procuratore capo – perché sarebbe finito il mio periodo in Dda, ma inizialmente la cosa non mi entusiasmava», confessa con candore il procuratore.
LA RIVOLUZIONE DI CATANZARO Poi, ha capito che per la prima volta avrebbe avuto la possibilità di forgiare un ufficio secondo esperienza, intuizioni e necessità. E a Catanzaro è iniziata la rivoluzione. «Sono arrivato lì con l’idea di costruire una procura per come dico io e mi sto trovando bene, perché ho avuto la piacevole sorpresa di trovare colleghi giovani e preparati». Per loro, non è iniziato certo un periodo facile. «Li bombardo di circolari, lettere, e-mail», dice il procuratore ed è chiaro «a loro l’ho detto chiaramente: “se non vi piace questo ritmo, fate domanda di trasferimento, vi aiuto io”». È dura e anche per Gratteri non è facile. «Pensavo non fosse possibile lavorare più di quanto facessi a Reggio, invece adesso lavoro il triplo», confessa il procuratore.
UNA LOTTA DI TUTTI Ma il motivo è chiaro ed è uno: affrontare la lotta alla ‘ndrangheta nel catanzarese con il maggiore impegno possibile e i migliori mezzi possibili. Per questo – racconta – negli ultimi tempi, spesso è andato a Roma – «anche a spese mie, ma non lo dite a mia moglie o si arrabbia», dice mentre la signora sorride in sala – per chiedere ai vertici delle forze dell’ordine di mandare al sud i loro uomini migliori. E piano piano stanno arrivando. Anche quegli ufficiali che per graduatoria potrebbero scegliere più comodi uffici a Roma o nei ministeri. «Ci vuole tempo per cambiare la mentalità di magistrati e forze dell’ordine, ma con il tempo i risultati arrivano. E con i risultati arriva anche la fiducia della gente».
L’ONERE DELLA TOGA Con i cittadini – spiega Gratteri – bisogna parlare, bisogna saper ascoltare, anche – se non soprattutto – chi mai avrebbe pensato di rivolgersi alla procura. «Solo se riusciremo ad essere credibili potremo vincere questa battaglia», afferma. E’ un tema caro al procuratore, che su questo ha tarato una vita di rinunce e sacrificio, per schierarsi in prima linea contro i clan. Anche a costo della vita e della serenità, sua e dei suoi familiari. Ma è un patto e un impegno – spiega il procuratore – che ha assunto quando ha indossato la toga. Il problema è che non è da tutti. Inclusi – spiega Gratteri – molti rappresentanti delle strutture dello Stato.
QUESTIONE DI CREDIBILITA’ «Noi uomini delle istituzioni siamo spesso buoni predicatori, ma poi non siamo credibili. I ragazzi, i cittadini, si accorgono se nella vita privata non siamo coerenti con il nostro lavoro. Acquisendo credibilità come uomini delle istituzioni, possiamo sognare un sognare un ritorno ai valori che sono la ricetta per il lungo periodo» tuona Gratteri, che sottolinea «è necessario tornare a parlare di coerenza e lealtà. L’onestà è questa: non giocare con due mazzi di carte». Lo sa il procuratore capo. Ha pagato la sua coerenza e la sua realtà con minacce e intimidazioni – serie e credibili – contro di lui e i suoi cari. Per questo, forte di decenni di trincea può dire «fare il magistrato significa ascoltare tutti e dare risposte». Anche con l’esempio.
RISULTATI «In tre mesi – snocciola soddisfatto Gratteri – abbiamo abbattuto le richieste di avocazione del 99%, ho rivoluzionato la sala intercettazioni, che si serviva di quaranta ditte mentre oggi ce ne sono solo quattro e forniscono servizi a un euro al giorno, il prezzo più basso d’Italia, stiamo informatizzando tutto quello che è possibile digitalizzare, stiamo studiando un atitaccheggio per i fascicoli, in modo che nessun atto si possa smarrire come troppe volte è successo a Reggio». È quello che avrebbe fatto – ammicca il procuratore capo di Catanzaro- «se nella vita fossi stato chiamato a fare altro». Ma quello di Gratteri al ministero della Giustizia è rimasto un “pazzo sogno” di qualcuno all’alba del governo Renzi.
«SONO AFFAMATO» Oggi Gratteri è convintamente un magistrato a capo di una procura centrale nel contrasto alle organizzazioni mafiose, perché proprio nel catanzarese e nel vibonese sono stati spostati interessi e affari che i clan di Reggio hanno valutato allontanare dalle attenzioni dei magistrati del reggino. Certo, la nostalgia per Reggio e per le indagini che ha dovuto lasciare resta. «Per questo chiamo a Reggio due – tre volte al giorno». Ma adesso la sfida è a Catanzaro. «E sono affamato di risultati – dice Gratteri – non sono assuefatto. L’anno prossimo ci vediamo qui e facciamo un bilancio».
Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it
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