LAUREANA DI BORRELLO Non c’è soltanto Vincenzo Lainà, assessore al Verde pubblico del Comune di Laureana di Borrello, tra i politici nell’orbita dei clan che hanno gestito la cittadina come un feudo. Nelle parole dei pentiti, negli interrogatori di tecnici e dipendenti, nei riscontri degli investigatori, emergono altri nomi, accompagnati dalle medesime pratiche: un aiutino alle ditte legate ai clan non si può rifiutare. È per questo che l’inchiesta “Lex” promette ulteriori sviluppi sul capitolo ‘ndrangheta-politica. Ed è per questo che l’invio a Laureana di Borrello di una commissione d’accesso antimafia appare un’ipotesi tutt’altro che peregrina.
C’è di più: le cosche con base nella Piana pensavano di estendere le proprie propaggini politico-mafiose anche al Nord. Nel mirino c’erano le comunali di Voghera. E la squadra ‘ndranghetista aveva già scelto il nome del candidato. L’epicentro della storia, comunque, è in terra di Calabria. A Laureana i Chindamo-Ferrentino hanno un volto imprenditoriale rappresentato da Antonino Digiglio: è lui che, con la ditta DG Lavori e Costruzioni, riesce a mettere le mani sui lavori pubblici del Comune. Il suo “gancio” nell’amministrazione è Vincenzo Lainà. Tra gli altri, lo racconta ai magistrati della Dda di Reggio Calabria un ex dirigente dell’amministrazione. Parla di appalti assegnati con superficialità e spiega che negli uffici (e non solo) era cosa nota che Lainà fosse il referente di una frangia ‘ndranghetista alla quale apparteneva anche un piccolo imprenditore edile, Tonino Digiglio. Lainà era una garanzia: ogni qualvolta l’azienda di Digiglio partecipava a una gara d’appalto, quella gara era già decisa.
Con parole (e rappresentando finalità) diverse, due pentiti confermano. E spiegano che Lainà avrebbe vinto le elezioni utilizzando la “forza” mafiosa. Fanno i nomi degli esponenti delle cosche che si impegnavano a cercare voti per il futuro assessore, di professione docente di scuola elementare. Ferrentino e Lamari, insieme, convergevano sul suo nome. E in Comune c’era un gruppetto di funzionari infedeli pronti ad avvertire gli elementi di raccordo tra amministrazione e clan delle visite delle forze dell’ordine. Un sistema in piena regola, che tocca molte stanze del Palazzo di città. Politica e burocrazia non sono immuni da infiltrazioni. Almeno un altro membro della giunta che governa Laureana viene citato dai collaboratori di giustizia. E i fari degli investigatori puntano anche l’Ufficio tecnico comunale, dal quale sarebbero stati deliberati troppi affidamenti diretti.
Se in Calabria il meccanismo è ben oliato, in Lombardia il controllo è avviato ma i rapporti con la politica sono in una fase embrionale. Marco Ferrantino, uno dei capi dell’organizzazione smantellata dall’antimafia reggina, aveva aperto una succursale a Voghera. Ma, si sa, per i clan il business non basta. Controllare la politica, infiltrare le istituzioni è una tappa forzata. E i Ferrentino non fanno eccezione: il loro interesse per le comunali del maggio 2015 emergerebbe dagli atti. Così come, in maniera nitida, emergerebbe l’individuazione di un candidato da supportare nella competizione elettorale. Schierato in una formazione centrista, il presunto uomo del clan ha avuto un passato travagliato: qualche problema con la giustizia al quale è seguita una riabilitazione con una recente sentenza del Tribunale di Milano. È da quel nome che gli inquirenti partono per esplorare le capacità di infiltrazione delle cosche della Piana nel Pavese. E il viaggio potrebbe durare a lungo.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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