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Quelli che arrivano a tavola imbandita

Era il 13 gennaio del 2004 quando Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria che verrà barbaramente ucciso diciannove mesi più tardi, depositava l’interrogazione numero …

Pubblicato il: 07/11/2016 – 14:14
Quelli che arrivano a tavola imbandita

Era il 13 gennaio del 2004 quando Franco Fortugno, vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria che verrà barbaramente ucciso diciannove mesi più tardi, depositava l’interrogazione numero 516 per denunciare l’ostruzionismo imperante attorno alla istituenda cardiochirurgia in quel di Reggio Calabria.
Undici anni più tardi arriva la ministra Beatrice Lorenzin e taglia il nastro. A fianco ci sono quelli, i commissari Scura e Urbani, che hanno lavorato sodo per dar vita a un reparto che già da anni era pronto per partire ma restava inchiodato al palo delle baronie mediche e di quelle universitarie. Quelli che hanno tirato il can per l’aia, il direttore generale Frank Benedetto, fin quando non hanno estromesso chi aveva lavorato sodo alla realizzazione del reparto e fin quando le triangolazioni “strane” con il Niguarda, di cui sentiremo dire presto, non hanno dato i frutti tanto attesi in famiglia. E infine quelli che arrivano, come si dice da queste parti, a tavola imbandita come i vertici della Regione Calabria.
C’è da vendersi il risultato sul tavolo delle imminenti consultazioni referendarie. Infatti, tagliati i nastri la ministra resterà a Reggio per incontrare i medici presso il loro ordine professionale e spiegare loro che votare “Si” è cosa buona e giusta, perché consente di restituire allo Stato competenze in materia sanitarie oggi finite malamente in mano alle Regioni.
Beatrice Lorenzin è prova vivente della magnanimità politica del nostro paese: difficilmente ad altre latitudini avrebbe fatto parte dello staff di un ministero. In Italia sta in sella a quello della Salute, nonostante gli strafalcioni mediatici e a dispetto delle giravolte istituzionali.
Poche settimane fa era pronta, novella Salomè, a far decapitare il commissario Massimo Scura per deporne la testa ai piedi del sottosegretario Luca Lotti che, attraverso lo spedizioniere Magorno, doveva recapitarla al governato(re) Mario Oliverio in cambio della sua definitiva conversione al neorenzismo che dei Soviet ha ereditato l’amore per le purghe di staliniana memoria. Oggi la incontriamo gaia e sorridente, mentre blinda Scura e Urbani e brinda alla loro salute. Tutto il resto, direbbe Califano, è noia. La noia, soprattutto, di bilanciare le ragioni del “Sì” con la bocciatura del regionalismo sanitario. Imparata la lezioncina a memoria, Beatrice (con un nome così come si fa a non essere fatalmente coinvolte nelle storie fiorentine) la reciterà tra qualche ora ai medici reggini. È talmente trita e ritrita, la lezioncina imparata dalla mitica ministra, che possiamo sintetizzare tranquillamente: «Se vince il “Sì” la sanità non può che migliorare… Possiamo finalmente cambiare le regole… Abbiamo metà Italia commissariata perché con il Titolo V la spesa sanitaria è “splafonata” … Non solo cattiva gestione della spesa ma anche mancanza di qualità dei servizi… Hanno speso tanto e hanno speso pure male».
Analisi spietata e onesta, se volete. Infatti potrà farla di pomeriggio, parlando con i medici. Ci saranno ancora Scura e Urbani con lei ma i “contro-interessati”, quelli che rosicano per non riuscire a far altro danno con amichetti, comparelli, maestri e gran maestri, saranno già andati via. Perché tutto possiamo chiedere alla ministra Lorenzin ma non di dispiacere i neo-renziani dei Soviet silani.

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