COSENZA Il dibattito sul quesito referendario entra nelle mura di un liceo ed espone le diverse posizioni a un gruppo di studenti, giovani cittadini chiamati a scegliere e votare il 4 dicembre. Una iniziativa presa da due protagonisti, la Fondazione Guarasci e il Circolo della Stampa di Cosenza e ospitata dal liceo “Lucrezia Della Valle” che, come ha spiegato la preside Loredana Giannicola, intende svolgere fino in fondo il ruolo della scuola come luogo in cui si deve coniugare il duplice impegno di formare ed informare.
A rappresentare il “No” e il “Sì” erano stati chiamati Silvio Gambino, costituzionalista e docente dell’Unical e Francesco Raniolo, professore di Scienze politiche della stessa università. In qualche modo prevedibile la diversità di approccio alla questione referendaria tra i due docenti. Più propriamente accademico, quasi distaccato, da «studioso avvezzo a scomporre le norme e ad analizzarle», lo sguardo posto da Raniolo. Invece maggiormente passionale, politicamente più coinvolto, l’impegno messo in campo da Gambino. Raniolo prima di entrare nel merito ha rammentato come attorno al quesito referendario siano cresciute dinamiche e dialettiche specificatamente politiche che hanno coinvolto il presente e il futuro delle leadership di molte forze politiche, cosa che ha finito per caricare le posizioni di significati che vanno ben oltre la modernizzazione della Costituzione, radicalizzando gli schieramenti.
Per il docente di Scienze politiche le radici del tentativo di cambiare la Carta sono presenti in una novità «che è piaciuta agli italiani». La novità è che, sia pure in modo imperfetto, scegliamo chi deve governare, in modo quasi diretto. Di qui l’importanza del rinnovamento necessario, senza perdere però di vista il rischio, pur presente, di «buttare il bambino con l’acqua sporca». Come dire che nel recente passato qualche buona cosa non è mancata. Si capisce subito che a Raniolo interessa più il perché si è giunti al tentativo di cambiamento che non il come. Da politologo è maggiormente attratto dalla storia che prepara il mutamento. Eppure il cosa cambia non è irrilevante e il docente lo spiega con la chiarezza e di una lezione efficace. Ne esce chiaro l’aumento di potere del governo, ma non del premier, così come pure si coglie il processo di ricentralizzazione del potere di cui le periferie vengono in parte spogliate e «che risponde a domande dal basso e anche dalla Corte costituzionale». Infine la riforma introduce alcuni cambiamenti per quanto riguarda la partecipazione popolare.
Dal suo canto Gambino nel suo intervento non ha negato la possibilità di effettuare cambiamenti, e tuttavia gli sembra necessario che tali mutamenti debbano essere fortemente contestualizzati. E subito la distanza tra il politologo, Raniolo, e il costituzionalista, Gambino, emerge con potenza, perché quest’ultimo coglie nei cambiamenti proposti un rischio non irrilevante, mentre il primo ne sottolinea le origini. E Gambino non risparmia bordate a Napolitano, che «da un certo punto smarrisce il suo equilibrio costituzionale e si schiera», né al Pd e alla sua crisi di leadership, «all’interno del quale maturano le tentazioni che portano al referendum». E nello scendere nel dettaglio, Gambino spiega come «la perdita da parte dell’elettore della scelta dell’eletto» sia una violazione autoritaria della Costituzione. Dunque possiamo cambiare la Carta, «ma non possiamo rompere la ragionevolezza delle norme e sbilanciare il rapporto tra Parlamento e Governo», rischi che evidentemente per il costituzionalista sono significativamente presenti nella riforma proposta. Uno dopo l’altro, anche a seguito delle domande poste dai presenti, sono stati snocciolati i punti controversi, come la possibilità che gli eletti al senato rispondano non ai territori, ma ai partiti, o alle logiche di corrente, oppure lo spettro di un uomo solo forte al timone, tutte questioni che potrebbero giungere da una Costituzione non «riformata, ma forse deformata».
m.g.
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