CATANZARO Erano stretti i rapporti tra le cosche di Vibo e i Iannazzo di Lamezia Terme. Erano rapporti d’affari, con reciproci scambi di favore. E gli imprenditori lametini che mettevano piede nella zona industriale di Sant’Onofrio dovevano essere “raccomandati” da Tonino Davoli. Il collaboratore di giustizia vibonese Andrea Mantella descrive le dinamiche di questi rapporti come «uno scambio di lavori, magari un imprenditore veniva a Sant’Onofrio nella zona industriale e viceversa…».
E quando un imprenditore lametino arrivava nel vibonese, “veniva questo Tonino (Davoli, esponente del clan Iannazzo, nda) e gli diceva (al boss Domenico Bonavota, nda): «questo ci interessa a noi, alla fine dei lavori fa il suo dovere”; inteso che pagava la tangente e basta, e viceversa».
Andrea Mantella – le cui dichiarazioni sono state depositate al processo abbreviato Andromeda contro la consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte – racconta agli inquirenti di avere conosciuto personalmente Giovannino, Ciccio e Pietro Iannazzo nel carcere di Siano a Catanzaro. In più «nella stessa carcerazione ho conosciuto i fratelli Gino e Peppe Daponte». Ma è stato fuori che ha conosciuto da vicino Tonino Davoli. Di quest’ultimo riconosce i «ruoli verticistici all’interno della cosca Iannazzo» e la vicinanza a Vincenzino Iannazzo del quale era, in pratica, il portavoce.
Una volta uscito dal carcere Mantella prende rapporti diretti con le sue nuove conoscenze con le quali «ci incontravamo una, due volte al mese a Sant’Onofrio nell’abitazione di Domenico Bonavota e in qualche circostanza anche a Serra San Bruno in località Nimpo nelle campagne di Damiano Vallelunga».
Gli incontri erano l’occasione per lo «scambio di lavori». Ma non solo.
FERMARE L’OMICIDIO CONTRO PULICE E GAGLIARDI C’è un episodio in particolare che riporta Davoli alla mente di Andrea Mantella, un incontro «che praticamente questo Tonino Davoli, essendo Damiano Vallelunga un loro amico, perché ai tempi sia Rocco Anello che Damiano Vallelunga erano a servizio della cosca Iannazzo, che andavano a sparare per conto dei Iannazzo, quindi tra di loro si fidavano, allora questo Tonino Davoli, per conto di Vincenzino Iannazzo va a prendere informazioni sulla mia persona perché sapeva che un certo Andrea Mantella per conto dei Giampà andava a Lamezia a sparare contro Gennaro Pulice e Bruno Gagliardi e contro la cosca Iannazzo». A questo punto Vallelunga interviene come mediatore per «aggiustare la situazione». Le parti si incontrano in campo neutro e Mantella ammette di agire per conto di Vincenzo Bonaddio, del clan Giampà, contro Gagliardi e Pulice. Daltronde Mantella ha un rapporto di parentela col clan di Lamezia essendo cognato di Pasquale Giampà. E i Giampà in quel periodo, agli inizi del 2000, non gradivano il fatto che «Pulice e Gagliardi sempre per conto dei Iannazzo cercavano di sconfinare nel terreno predominante della cosca Giampà per prendere le estorsioni lì». Erano nati dei battibecchi per queste ragioni e Bonaddio era consapevole che Gagliardi e Pulice «per conto sempre dei Iannazzo» volevano eliminare lui e qualcuno a loro vicino. «Vedi che ci stanno ammazzando», dice al collaboratore. Per sfuggire alla trappola, Bonaddio, che non usciva quasi più di casa, aveva chiesto l’intervento omicidiario di Mantella.
OSPITATI IN CASA DI PERRI A questo punto Andrea Mantella, Salvatore Mantella e Francesco Scrugli si recano a Lamezia e vengono ospitati «sopra in un appartamento di un supermercato di un certo Perri, al centro di Nicastro, un appartamento sopra al quarto piano».
FERMATI DA UNA DONNA Per compiere gli omicidi era tutto pronto. I Giampà, tra i quali anche il neo collaboratore Domenico Giampà, avevano fornito tutto, armi e macchina, una Fiat Punto bianca. Quando arriva la segnalazione che Gagliardi si trovava nel negozio di calzature Giglio, i killer partono. E’ l’autunno del 2003, ricorda Mantella, «perché pioveva, cadevano le foglie». Ma qualcosa va storto. «Sì, siamo andati su questo vialone che c’era questo negozio di Giglio, una donna, credo che era una donna, in macchina ci ha visti incappucciati, travisati più o meno, e si prese di paura, ha spento il motore della macchina, ci ha bloccati e quindi siamo rimasti imbottigliati nel traffico e abbiamo dovuto desistere obbligatoriamente».
IL CONTRORDINE DI VALLELUNGA Poco tempo dopo il fallito agguato Mantella e Scrugli si ritrovano a una riunione a casa di Bonavota. E c’era Tonino Davoli. È a questo incontro che Mantella promette che non sarebbe più andato su Lamezia. Con Bonaddio congela l’accordo dicendogli «che praticamente la cosa era andata a cospargere… si sapeva un pochettino in giro, dobbiamo prendere un po’ di tempo, così e così via». Ma Mantella non sente di essere rimasto in debito con Vincenzo Bonaddio, quanto con Pasquale “Millelire” Giampà. «Con “Millelire” – dice – siamo rimasti in debito».
Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it
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