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Precari dell’Asp, scandalo a lieto fine (per la politica)

COSENZA È strano: certe storie legate al bisogno di lavoro e alla precarietà iniziano e finiscono con una scadenza elettorale. Prendete i precari “assunti” (le virgolette significano che assunti, i…

Pubblicato il: 16/11/2016 – 21:20
Precari dell’Asp, scandalo a lieto fine (per la politica)

COSENZA È strano: certe storie legate al bisogno di lavoro e alla precarietà iniziano e finiscono con una scadenza elettorale. Prendete i precari “assunti” (le virgolette significano che assunti, in realtà, non lo sono mai stati) dall’Asp di Cosenza. Il loro percorso lavorativo è partito – erano inseriti in un elenco la cui genesi non è mai stata chiarita – alla fine del 2014. Proprio mentre la Calabria si preparava per scegliere il nuovo governo regionale, dall’Azienda sanitaria partivano le chiamate sulla base di una lista – che, poi, si scoprirà piena zeppa di collegamenti con la politica, sia di centrodestra che di centrosinistra – trasmessa dal dipartimento Lavoro della Regione. Un posto di lavoro per tutti, buono a colmare le lacune negli uffici della sanità territoriale. E la speranza di una stabilizzazione, che non si nega a nessuno. Dopo il voto – e il trionfo del centrosinistra – il lavoro c’è ma la retribuzione no. Per mesi, e poi per anni, i precari sono dei fantasmi: restano negli uffici, fanno fotocopie, offrono servizi. Ma non hanno un contratto e, soprattutto, non vengono retribuiti. Storie di ordinaria calabra deregulation. C’era, all’epoca, il blocco del turnover eppure, sfruttando la triangolazione con il dipartimento Lavoro, si riuscì a impiantare 135 nuovi precari nei ranghi di una sanità già ipertrofica. Tutto mentre una parte del sindacato (la Cgil) denunciava, per bocca di quello che poi diventerà il segretario regionale: ««Ad oggi non sappiamo chi abbia firmato la lettera di convocazione per i 133 precari, che dovrebbero svolgere attività di pubblica utilità nelle strutture. È stato l’assessorato regionale al Lavoro, oppure la stessa Asp. Ma entrambe le strutture ci hanno negato l’esistenza stessa del progetto».

L’ASP SI ACCORGE DEI “FANTASMI” Quel progetto, invece, c’era. Ben nascosto, evidentemente, ma c’era. E la determina firmata mercoledì dall’attuale dg dell’Asp Raffaele Mauro (la numero 1818) lo conferma. L’atto è un riepilogo di tutti i passaggi burocratici intervenuti negli ultimi anni. Questo bignamino dell’impasse e dei pasticci ha un happy ending divenuto quasi imprevedibile. Vediamo.
L’Azienda sanitaria, pur non riconoscendo l’esistenza dei lavoratori, ha continuato a tenere conto di tutto: soprattutto degli orari di lavoro. Come non è dato sapere, visto che – secondo testimonianze dirette di alcuni dei precari – le presenze venivano appuntate su foglietti “volanti”. Eppure, il management sanitario spiega di aver rendicontato i costi dell’operazione per quadrimestri, inviandoli con tre note alla Regione. L’ultima, che risale al 31 agosto 2016, rappresenta «il rendiconto contenente i dati mensili riepilogativi relativi alle ore di lavoro effettuate dagli operatori utilizzati, il costo orario e il relativo maturato». Finalmente, a due anni dal loro ingresso nelle stanze dell’Asp, si scopre quanto siano costati i precari: «Il costo complessivo, ricondotto al costo orario degli Lsu-Lpu, pari a 8,90 euro, ammonta per l’intero periodo di utilizzo dei 135 lavoratori a 1 milione 178mila euro (ore lavorate n. 132.438)». Già, ma chi pagherà? Di certo non l’Azienda sanitaria. La delibera con la quale Mauro prende atto della convenzione sottoscritta due anni fa tra Asp e dipartimento (il 2 dicembre 2014) specifica che non ci sono oneri a carico del bilancio della sanità. Dunque, si presume, il milione e passa finirà sul groppone della Regione. Ed è la stessa Regione a chiedere che sia così, visto che il via libera all’accettazione delle assunzioni arriva proprio dopo una nota dell’assessorato al Lavoro che risale al 18 ottobre scorso.
Dopo due anni di rimpalli e di formali “niet”, qualcosa si è sbloccato «a seguito dell’incontro con le organizzazioni sindacali in data 10 ottobre 2016». La convenzione negata diventa finalmente operativa, «oggi per allora, al fine di garantire i diritti dei lavoratori utilizzati, cosa come richiesto dal dipartimento Lavoro».
L’Asp accetta ufficialmente il supporto dei precari, dopo averli utilizzati a lungo come dei fantasmi. Prende per buona una convenzione con due anni di ritardo e si accorge dell’«utilizzo funzionale» nei suoi uffici dei lavoratori «facenti parte dell’elenco inviato dal dipartimento Lavoro» con un ritardo che solo una burocrazia schizofrenica riesce a spiegare.
Incredibile? Sì, soprattutto alla luce del precedente parere che, a gennaio, sembrava aver chiuso le porte in faccia ai precari “fantasma”.

PORTE CHIUSE A GENNAIO A Mauro erano bastati 12 giorni per recepire una proposta del dipartimento Sviluppo economico della Regione e chiudere le porte ai precari. Poche righe per prendere atto del decreto che annullava in autotutela la convenzione tra l’Azienda e il dipartimento Lavoro e tutti gli atti (per la verità non molti) successivi. Il succo era chiaro: tutti a casa. Ma, tra le righe del provvedimento, la burocrazia ripercorreva i passaggi che hanno portato alle assunzioni. Quelle pagine sono il racconto di uno scandalo calabrese. Manca tutto: una logica che giustifichi la scelta di quelle persone, un progetto coerente sul loro utilizzo, addirittura la copertura finanziaria. Non c’era una cosa che fosse al proprio posto. A far deflagrare il bubbone è una richiesta apparentemente normale: l’Asp chiede alla Regione i soldi per pagare i “dipendenti” per il periodo che va dal dicembre 2014 al novembre 2015. Di più: l’avvocato Vincenzo Belvedere, che rappresenta 129 precari, mette in mora l’ente.
Il dipartimento Lavoro, a quei tempi, non aveva alcuna intenzione di pagare. Si appigliava a tutte le – tantissime – incongruenze nel procedimento. Prima questione: come sono stati scelti i precari? Sulla base di istanze pervenute entro la data del 22 dicembre 2010. Istanze che «appaiono irritualmente acquisite agli atti della Regione, la cui documentazione, peraltro, è oggetto di sequestro penale da parte dell’autorità giudiziaria». E l’iter? «L’istruttoria di selezione delle istanze dei lavoratori non risulta agli atti di questo dipartimento». La scelta a gennaio appariva un mistero. La convenzione, poi, «è priva di impegno di spesa e di copertura finanziaria» e il numero «dei beneficiari risulta modificato più volte senza motivazione». Sempre peggio: «I nominativi dei beneficiari risultano già individuati da parte dell’Asp di Cosenza con nota del 7 luglio 2014, in virtù di non meglio precisate autocandidature di lavoratori». Una sorta di autoimpiego con il timbro dell’Asp, che all’epoca era retta dal direttore generale Gianfranco Scarpelli, e il silenzio (fino al 30 dicembre 2015) della Regione. Con il passare dei mesi – e un’inchiesta della Procura di Cosenza sullo sfondo – negli uffici della Cittadella è cambiato tutto. Ciò che prima era scandaloso adesso è diventato accettabile.

SCADENZE Sono serviti due anni per «prendere atto che i lavoratori, nel numero di 135, sono stati utilmente avviati e utilizzati alle attività aziendali nei diversi uffici territoriali dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza». Hanno lavorato in «distretti sanitari, uffici Cup per l’attività di prenotazione di visite specialistiche, servizi sociali, uffici finanziari, beni e servizi, dipartimento farmaceutico, dipartimento salute mentale e dipartimento di prevenzione». Lo hanno fatto sostanzialmente “in nero”, senza contratto e senza un registro ufficiale delle presenze. Mentre l’Asp faceva i calcoli in proprio per poi presentare il conto a una Regione che ha tollerato l’intollerabile e si è decisa a sbloccare tutto a poche settimane da un’importante – soprattutto per la maggioranza – scadenza elettorale. Se si votasse più spesso la disoccupazione sarebbe un brutto ricordo.

Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it

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