Il tema delle riforme costituzionali è un argomento che in questo periodo sta fortemente occupando il dibattito politico incentrato in vista del voto del referendum costituzionale confermativo di modifica della nostra Costituzione. Riforma votata dalle due camere del parlamento italiano e che oggi è sottoposta al giudizio degli elettori. La riforma prevede: superamento del bicameralismo perfettamente paritario con un Senato delle autonomie e la Camera che avrà competenza sulle leggi ordinarie e sarà l’unica a votare la fiducia, finisce così la “navette” parlamentare nell’iter di approvazione delle leggi responsabile delle lungaggini nell’approvazione delle leggi, aumento dei quorum per l’elezione del capo dello Stato: è eletto dal Parlamento in seduta comune a maggioranza dei due terzi, dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti e dal settimo scrutinio quella dei tre quinti dei votanti, revisione del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, eliminate le competenze concorrenti quindi ci sarà maggiore chiarezza nella definizione delle competenze dello Stato, mentre vengono rafforzate in alcune materie (come le politiche attive del lavoro, la concorrenza e le infrastrutture strategiche) competenza residuale delle Regioni nelle materie non riservate in via esclusiva allo stato, eliminazione delle Province dalla Costituzione e soppressione del Cnel, aumentato a 150.000 il numero di firme necessario alla presentazione di un progetto di iniziativa popolare e introdotte garanzie procedurali per assicurarne il successivo esame e l’effettiva decisione parlamentare, verrà abbassato il quorum per la validità del referendum abrogativo: se richiesto da almeno 800.000 firmatari il quorum è fissato alla maggioranza dei votanti alle elezioni politiche precedenti, sarà introdotto l’istituto del referendum propositivo e di indirizzo.
Modifiche necessarie al fine di modernizzare l’Italia, un Paese definito vecchio e non al passo dei tempi da ormai troppo tempo e che per poter reggere la competizione globale deve stare al passo coi tempi e recuperare quella credibilità internazionale necessaria per attrarre investimenti necessari per far ripartire la nostra economia. Il mondo ha subito cambiamenti radicali, in particolare dalla caduta del Muro di Berlino in poi, molte cose sono cambiate a livello internazionale, i cui effetti poi si fanno sentire anche e forse soprattutto a livello interno dei paesi maggiormente coinvolti in questo processo di cambiamento. Cambiamento che trova nella globalizzazione il suo attore principale, una globalizzazione che ormai potremmo definire galoppante ed irreversibile, rapida ed incisiva; la quale, per sua stessa natura, ha portato e comportato degli effetti dirompenti sulla geopolitica e sulla geo-economia mondiale.
Da tale ragionamento si evince un dato non più procrastinabile: l’Italia necessita di politiche economiche e fiscali tali da rilanciare lo sviluppo economico attraverso fattori nuovi o innovativi: industriale del benessere, investimenti in R&S, rilancio infrastrutturale, attrazione di Ide e di Fondi Sovrani, politiche fiscali vantaggiose per i settori innovativi e ad alto valore aggiunto, supporto pubblico all’export, tanto per fare alcuni, ma importanti esempi. Da ciò ravvisiamo la necessità per il Paese che le Riforme si possano attuare in tempi brevi per poter finalmente tornare ad essere un Paese competitivo e forte sullo scenario globale.
Ma ciò che più di tutto forse dovrebbe convincere ad appoggiare questa riforma è la consapevolezza che se questo tentativo non andrà a buon fine, difficilmente nei prossimi 20 anni si troverà un governo capace di avere la forza di fare delle riforme che appaiono necessarie a modernizzare il paese. Un cambiamento oggi è necessario ed è logico che a temere i cambiamenti siano le fasce più conservatrici della politica e della società. La nostra Costituzione è una grande Costituzione e questa riforma non ne cambia, né del resto potrebbe, la parte più importante che è quella dei principi. È una riforma dell’organizzazione della Democrazia che non può più essere uguale a quella di più di sessant’anni fa semplicemente perché il mondo a
ttuale è completamente diverso da allora. Una sola Camera velocizzerà il processo legislativo e toglierà potere di veto a tanti gruppuscoli che spesso sono espressione di poteri ben precisi e non sempre leciti. Ogni passaggio parlamentare impone una serie di ticket da pagare per vedere il progetto complessivo approvato e ciò aumenta la corruzione, diminuisce la qualità delle leggi e aumenta la spesa pubblica. Basti pensare alla finanziaria che nei singoli passaggi si gonfia di emendamenti che spesso sono solo regali ad alcune lobby che attraverso accordi trasversali riescono a far sentire la loro voce. Il rimedio a questo è spesso il voto di fiducia che di fatto espropria il Parlamento delle sue funzioni. Gran parte delle critiche dei fautori del No verrebbero spazzate via dalla semplice previsione, nell’attuazione della riforma, della limitazione del voto di fiducia a poche materie di grande rilevanza. Piuttosto che avere due Camere spesso espropriate delle loro prerogative, meglio una sola Camera, ma in grado di far sentire la propria voce.
*Docenti Università Mediterranea Reggio Calabria
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