COSENZA «Discutetene nel merito. Convinceteli. Fategli leggere la riforma. Agli amici del calcetto, ai colleghi universitari, in autobus. Parlatene con parenti e conoscenti, disturbate i contatti in rubrica. Gli ultimi quindici giorni sono fondamentali e ci sono milioni di indecisi. Ogni voto può fare la differenza: dormiamo di meno!». L’ormai celebre “ultimo miglio” in vista del referendum del 4 dicembre lo percorre correndo Maria Elena Boschi. E non è per le tappe del suo tour calabrese macinate senza sosta, per le mani strette e le folle (di partito, il suo) come ammaliate. Non solo. Lo slancio parte da lontano, da quando non era neanche ministro, il premier era Letta e lei era “solo” la responsabile delle riforme per il Pd. Ecco perché a un soffio dalla deadline, con l’obiettivo che i sondaggi danno lontano, ci crede con ferma, visionaria, tenacia. Senza farsi trascinare troppo, affronta quello che gli esperti definiscono il public speaking con un solo mantra: la calma.
(Oliverio e Boschi a Cosenza)
È tutt’intorno il turbinio. Quello dei democrat calabresi che, nel cuore del centro storico, all’Auditorium Guarasci di Cosenza, si mettono in armi per accogliere la ministra per le Riforme Costituzionali con tanto di manifesti di benvenuto stile prima Repubblica firmati dal “Movimento Sì per L’Italia in Calabria”. Pieno, pienissimo in ogni ordine di posto l’uditorio tanto da dover eliminare il separè che divideva l’enorme ambiente. Presente non solo l’intero stato maggiore del partito, quanto una foltissima schiera di militanti giunti dall’intera provincia, anzi, da tutte le province se è vero che nelle vicinanze rimangono parcheggiati bus provenienti ad esempio da Lamezia Terme organizzato dal duo Giuseppe Nisticò e Carmelo Pujia. Location blindata quasi militarmente e il perimetro della città vecchia è off limits per i fautori della protesta.
(Il benvenuto, molto anni 80, di Nisticò e Pujia al ministro Boschi)
Paradossalmente, qualche istante di tensione lo si vive proprio all’interno della sala fra il governatore Oliverio e un conduttore televisivo prima dei lavori oppure quando un cittadino chiede di prendere la parola e viene subitaneamente allontanato dai servizi di sicurezza. Breve interludio affidato ai padroni di casa. Il segretario regionale Magorno, il presidente della Regione Oliverio («L’anima della riforma – dirà – è data dal necessario superamento del bicameralismo perfetto e dalla riconfigurazione del rapporto fra Stato e Regioni. La Calabria deve partecipare al cambiamento per riconquistare il giusto peso»), la docente universitaria dell’Unical Angela Costabile, il presidente della Camera di Commercio bruzia Klaus Algieri e la brillante nuova leva democrat Giuseppe Alonge. Poi, i riflettori sono tutti per la ministra seguita come un’ombra, dietro le quinte, dal portavoce Luca Di Bonaventura. Tre quarti d’ora intensi. In cui la platea ascolta in religioso silenzio. Boschi, con fare didattico, se vogliamo addirittura didascalico, passa prima in rassegna i quesiti referendari. Le ragioni del Sì.
(La ministra Boschi parla alla platea dell’auditorium del liceo classico)
Come il taglio dei costi della politica («ridurremo di un terzo i parlamentari e metteremo un tetto allo stipendio dei consiglieri regionali»), l’abolizione del Cnel («che, in tutto, ha presentato solo 14 proposte di legge e nessuna è stata approvata, al costo di 20 milioni di euro annui»), la riforma del titolo V della Costituzione («rivedendo i rapporti fra Stato e Regioni eviteremo 20 modi diversi di legiferare su alcune materie e avremo meno burocrazia»), il nuovo Senato («darà voce ai territori, ma al contempo daremo risposte più celeri ai bisogni con leggi più veloci»). Insomma, col “Sì” al referendum «proponiamo un modello – assicura Boschi – con più responsabilità e condivisione, non tocchiamo nessuna garanzia e non diamo maggiori poteri al governo, bensì nuovi strumenti, riavvicinando le distanza fra nord e sud del Paese».
Non mancano tuttavia dei passaggi più strettamente politici, indirizzati al fronte del “No”. Quello interno, del Pd, perché «chi vuole usare il referendum come un congresso di partito, in caso di sconfitta, dovrà spiegarlo ai cittadini dopo aver votato tre volte la riforma». E uno esterno (a parte D’Alema), che ricomprende «i Pomicino, D’Alema, Fini, Salvini, Grillo: perché non l’avete fatta voi la riforma migliore di cui tanto parlate? Alcuni di loro hanno trascorso una vita in Parlamento. Adesso tocca a noi». Closing time. C’è un aereo che aspetta, scaletta rispettata ma non bisogna fare tardi. Non prima però di salutare velocemente i militanti accalcati sotto il palco e ricevere fiori e targa che puntualmente cade. Ma non sarà certo questo imprevisto a far perdere il sorriso alla ministra che credeva alla riforma costituzionale da quando il dicastero che occupa non era altro che un sogno coltivato alla Leopolda.
Edoardo Trimboli
redazione@corrierecal.it
x
x