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Gli incontri tra Lo Giudice e “Faccia di Mostro”

REGGIO CALABRIA «Ho un ricordo di una persona con il volto bruciato e con ciò intendo riferire una persona con il volto chiaramente deturpato sul lato sinistro». Quando il procuratore Gianfranco Do…

Pubblicato il: 22/11/2016 – 22:43
Gli incontri tra Lo Giudice e “Faccia di Mostro”

REGGIO CALABRIA «Ho un ricordo di una persona con il volto bruciato e con ciò intendo riferire una persona con il volto chiaramente deturpato sul lato sinistro». Quando il procuratore Gianfranco Donadio convoca Nino Lo Giudice per un colloquio investigativo, al pentito ci vogliono ore per arrivare al punto.

LA META ‘NDRINA Prima – racconta il magistrato della Dna, di fronte ai colleghi di Catanzaro presso cui ha denunciato Lo Giudice per calunnia – il collaboratore parla in dettaglio – e anche con un certo compiacimento – della sua «meta ‘ndrina», così definita – afferma Donadio – perché «sembrava più organizzata su certe funzioni (il controllo della commercializzazione di taluni prodotti agricoli) anziché sul territorio». Quando però le domande si fanno più stringenti e toccano temi più delicati, l’atteggiamento del “Nano” cambia.

ORA O MAI PIÙ Inizia rispondere in modo elusivo, chiede tempo, poi sfodera il campionario di «non so, non ricordo» di cui tante volte ha fatto sfoggio in udienza di fronte a pm e avvocati. Donadio però non ha tempo da perdere. E a Lo Giudice lo dice chiaramente. «Guardi – rammenta di aver detto al pentito – io non posso, questo è un colloquio investigativo, non è un’azione che può durare nel tempo. O le tematiche si affrontano ora, io non posso rimandare il colloquio investigativo per darle tempo di riflettere o elaborare».

PARZIALE RAPPRESENTAZIONE Lo Giudice capisce di avere un’unica opportunità. E con molta difficoltà inizia a raccontare quello che sa. E conferma che sì, ha conosciuto un uomo con il volto sfigurato, ma non ricorda Range Rover, né dice dove lo avrebbe incontrato. Forse era un carabiniere – accenna – forse un uomo dei servizi. Le sue affermazioni non sono lineari, né le dichiarazioni fluide. Ma la cosa non inganna Donadio, che ai colleghi spiega. «In questa prima fase della sua ricostruzione – spiega il magistrato – sostanzialmente Lo Giudice alterna una frase, una compiuta indicazione con una parziale smentita o con una, direi, parziale rappresentazione dei particolari».

«È UN CANE» Alla fine però, Lo Giudice arriva al dunque. E dice chiaramente «Io credo che il personaggio con il volto sfregiato sia un personaggio molto pericoloso». Cerca parole per spiegarsi il pentito, ma nel suo vocabolario non c’è espressione che renda perfettamente l’idea, per questo si limita a dire: «Dottore, è un cane… è un uomo cane, sto parlando di un uomo fuori dalle regole».

QUESTIONE DI REGOLE Un argomento scottante per Lo Giudice, che proprio in nome delle nuove regole ha visto il suo clan privato di territorio e forse potere all’indomani della seconda guerra di ‘ndrangheta. Ma che il magistrato non ha tempo di approfondire. L’obiettivo è Faccia di mostro. Per questo, pungola il pentito, fin quando alla fine Lo Giudice ammette «Quando dico questo è perché ho appreso che questo personaggio era stato coinvolto in eventi stragisti dove sono state colpite anche persone innocenti e questo è contro le regole della ‘ndrangheta». Per Lo Giudice è «un terrorista». Da lì, è un fiume in piena.

INFORMAZIONI Racconta che Faccia di Mostro era «un appartenente ai servizi deviati», quindi aggiunge che «era calabrese» ma «certamente non ci sono stati rapporti di affiliazione con la mia famiglia». Ma di Giovanni – anzi, «Gianni» Aiello – Lo Giudice sa molto. O almeno questo dice Donadio ai colleghi di Catanzaro. Al procuratore della Dna, il pentito racconta che Aiello era «un portatore di informazioni sulle attività di varie forze di polizia e che in cambio di questo veniva pagato e, attenzione, quando l’ho sentito ho avuto, come dire, “la prova del nove” – aveva chiesto e ottenuto forniture di orologi d’oro».

LA PROVA DEL NOVE Per il magistrato non è un dato neutro, perché esattamente la stessa cosa di Faccia di mostro hanno raccontato Vito Lo Forte, del clan dei Laudani, e Giuseppe Maria di Giacomo. Stesso dicasi per l’omicidio del piccolo Domino raccontato da Luigi Ilardo, che riecheggia nelle parole di Lo Giudice, quando il collaboratore ricorda: «Questo personaggio, parlando con me, si vantava di aver ucciso un bambino». Pezzi di un mosaico che si incastrano per Donadio, che questi con foga racconta ai colleghi di Catanzaro: «Lui a un certo punto parla espressamente dell’omicidio di Falcone, parla espressamente dell’omicidio di Borsellino, parla della Range Rover», ma nel corso del colloquio con Lo Giudice non sembra perdere la lucidità. E dal pentito pretende di sapere non solo come abbia conosciuto Faccia di mostro, ma anche che tipo di precauzioni il pentito abbia preso nel trattare con un soggetto «così pericoloso».

«CI GUARDAVAMO» A presentarlo a Lo Giudice – stando a quanto emerso nel corso di quel colloquio investigativo – sarebbe stato il capitano Spadaro Tracuzzi, ex carabiniere del Noe in forza alla Dia, condannato a una lunga pena detentiva per i suoi rapporti con il clan Lo Giudice. Ma l’ufficiale avrebbe fatto solo da tramite. E nel corso degli incontri con Aiello tanto lui, come gli uomini del suo clan avrebbero usato una serie di cautele. «Ci guardavamo» avrebbe detto il pentito. Gli incontri spesso erano organizzati nella profumeria gestita da Antonio Cortese, dotata di un doppio ingresso, e Faccia di mostro più volte era stato pedinato e fotografato dagli uomini del clan Lo Giudice.

LE FOTO Una prova regina per Donadio, che vuole quegli scatti a tutti i costi. Il Nano inizialmente fa resistenza, ma alla fine cede. Accetta di inviare quegli scatti al procuratore della Dna. Ma è materiale che deve pervenire con tutte le cautele e le accortezze del caso. Per questo, racconta Donadio avrebbe dato atto in registrazione delle due buste bianche messe in mano al capo scorta, cui era affidato Lo Giudice. Il pentito viene accompagnato nel sito protetto in cui risiede, si allontana dalla scorta, quindi torna e consegna una busta chiusa. Quando viene consegnata al procuratore della Dna, Donadio scopre che dentro ci sono solo fogli bianchi. «Non amo le dietrologie – racconta ai colleghi di Catanzaro – ma i casi sono due: o questo signore è venuto meno ad una sua spontanea promessa o qualcuno… ha operato una sostituzione».

LE INDAGINI CONTINUANO Lo Giudice viene chiamato per spiegare cosa sia successo, ma a quel secondo colloquio investigativo – con un scusa o l’altra – finisce per non presentarsi mai. I mesi passano, il pentito sparisce, si manifesta con due scottanti memoriali, viene riacciuffato, e per mesi si chiude nel silenzio. Quando ha ricominciato a parlare, il colloquio con Donadio e anche quelle foto sono finite al centro delle sue nuove dichiarazioni. Lo Giudice – si legge nei verbali agli atti del processo Mammasantissima – racconta di aver avuto paura delle sue stesse rivelazioni, anche perché qualcuno – sostiene – lo avrebbe prelevato intimandogli di dimenticarsi di Faccia di mostro. Tutte dichiarazioni adesso al vaglio dei magistrati, al pari della posizione di Giovanni Aiello su cui diverse procure – tuttora – stanno approfondendo.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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