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La "manina" che escluse Ferro dal Consiglio

CATANZARO Chi può dire adesso, dopo che la Corte costituzionale ha emanato la sentenza pro Wanda Ferro, che la partita sulla legge elettorale calabrese possa dirsi definitivamente chiusa? L’aver ri…

Pubblicato il: 23/11/2016 – 14:34
La "manina" che escluse Ferro dal Consiglio

CATANZARO Chi può dire adesso, dopo che la Corte costituzionale ha emanato la sentenza pro Wanda Ferro, che la partita sulla legge elettorale calabrese possa dirsi definitivamente chiusa? L’aver riconosciuto un seggio alla leader del centrodestra è sicuramente una notizia che riconcilia con il diritto e la democrazia, ma non cancella le ombre che hanno accompagnato l’approvazione della riforma del voto, approvata durante la scorsa legislatura, in regime di prorogatio, nel giugno di due anni fa.
Vale la pena ricordarle quelle polemiche di quei mesi. Già, perché a distanza di due anni e mezzo, nessuno può dire se in quella seduta (o poco prima) siano state consumate illegittimità. Primo dato: ancora non si conosce il nome di chi ha inserito nella legge quel codicillo che escludeva dal consiglio regionale il/la leader della coalizione arrivata subito dietro a quella vincente. Di certo non l’ha discussa la commissione che avrebbe dovuto farlo, ovvero quella per gli Affari istituzionali guidata all’epoca da Giuseppe Caputo. Che denunciò, invano, pubblicamente la cosa: «Il 19 maggio 2014 convocai una seduta nella qualità di presidente della I commissione al fine di esaminare la proposta di legge elettorale. A distanza di pochi giorni, il 22 maggio 2014, giunse una nota a firma dell’ufficio di presidenza del consiglio regionale all’interno della quale la Conferenza dei presidenti dei gruppi consiliari (guidata dall’Udc Franco Talarico ndr), avocava a sé la discussione e la decisione sulla legge regionale. A quel punto, preso atto dell’anomala decisione, procedetti a sconvocare la seduta di commissione. Da quel momento in poi si perse traccia della legge! Si diede vita a un assoluto e assordante silenzio».
A Palazzo Campanella arrivò un’oscura proposta di riforma – quella in cui i consiglieri regionali sono passati da 50 a 30 – i cui contenuti non erano noti nemmeno dall’allora capogruppo del Pd. Sandro Principe, infatti, affermò che quella legge non gli risultava fosse passata dalla commissione e che, dunque, non era stata esaminata compiutamente. Di certo c’è che qualcuno (burocrazia o politica?) l’ha scritta e fatta arrivare in Aula per il voto finale.
Il sospetto, a questo punto fondato, è che la norma sia stata inserita da una “manina” con l’obiettivo di preciso di escludere il migliore tra i perdenti tra i candidati alla presidenza della Regione e assicurare, così, un altro seggio agli aspiranti consiglieri, terrorizzati di una mancata riconferma. Una pratica illegittima, secondo i giudici della Consulta. Che hanno ristabilito l’affermazione delle regole, riconoscendo il diritto al seggio a una donna votata nel 2014 da oltre 188mila calabresi.
Certo, la decisione della Corte costituzionale non dirada fino in fondo le nubi che si erano addensate attorno alla nuova legge elettorale. I giudici hanno fatto il loro dovere. Farà lo stesso la politica? Ergo: quando i massimi responsabili dell’assemblea di Palazzo Campanella decideranno di attivare tutti gli strumenti a loro disposizione per capire cosa sia realmente successo in quei giorni bui per la democrazia calabrese?

Antonio Ricchio
a.ricchio@corrierecal.it

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