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Quel che non mi convince di questa riforma

Dopo l’iniziale entusiasmo di chi accoglie con fiducia le novità, ho reputato non coincidenti i concetti di cambiamento e miglioramento. Ho cercato di capire, sul prossimo referendum costituzionale…

Pubblicato il: 26/11/2016 – 11:18
Quel che non mi convince di questa riforma

Dopo l’iniziale entusiasmo di chi accoglie con fiducia le novità, ho reputato non coincidenti i concetti di cambiamento e miglioramento. Ho cercato di capire, sul prossimo referendum costituzionale, il merito della riforma proposta, e credo che in pochi abbiamo letto le disposizioni di quella che si candida a essere un’invasiva revisione costituzionale che, comunque vada il 4 dicembre, una vittoria risicata sarà una sconfitta sul piano della coesione nazionale, che deve emergere il più possibile proprio su questi temi.
Bisogna ammettere, innanzitutto, che il quesito, anche se coretto, è un po’ fazioso, cavalcando la solita onda della riduzione dei costi e dei tempi della politica. Per quanto riguarda i costi, i promotori del Sì magnificano il fatto che grazie alle modifiche introdotte, con la riduzione del numero dei senatori, da 315 a 100, si risparmiano 500 milioni di euro l’anno, ottimistica previsione che è stata smentita dalla Ragioneria dello Stato, che ha quantificato la riduzione dei costi in appena 49 milioni di euro.
Tale riduzione dei costi della politica è veramente irrisoria, se si volesse fare una reale riduzione di tali costi, che non è stata presa in considerazione, è l’abolizione delle Regioni a statuto speciale.
Queste cinque regioni autonome, cioè Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, che non hanno più motivo di esistere autonome, ormai antistorica la loro esistenza, vengono meno i motivi che portarono alla loro autonomia, per la salvaguardia dell’unità nazionale, mediante i confini del Nord-est e per il rischio della nascita di movimenti autonomisti in Sicilia e Sardegna.
Ebbene, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, nel 2014 le Regioni a Statuto speciale hanno messo a bilancio una spesa pari a 46 miliardi, 605 milioni e 510 mila euro, cioè 5.000.83 euro per abitante. Nelle 15 regioni ordinarie la spesa è stata di 3.500 euro per abitante; quindi, se la spesa per abitante nelle Regioni autonome fosse stata pari come quelle ordinarie, si sarebbero risparmiati 14,5 miliardi all’anno, se, poi andiamo ad analizzare i contributi e le assegnazioni dello Stato alle Regioni, emerge che la somma destinata a quelle autonome è di 525 euro per abitante, contro i 392 euro di quelle ordinarie, e, considerando solo questa voce l’abolizione delle Regioni autonome, consentirebbe un risparmio di un miliardo e 212 milioni di euro.
Sono questi, uno degli esempi, dei veri costi della politica che la riforma costituzionale del governo Renzi non taglia.
È sconcertante che con la riforma non siano state toccate le Regioni autonome, a statuto speciale, anzi sono state rafforzate per l’assurda nuova disposizione inserita al comma 13 dell’articolo 39, la quale prevede che si possono modificare gli Statuti delle Regioni a statuto speciale, solo ed esclusivamente d’intesa con le stesse Regioni, mentre precedentemente l’articolo 138 della Costituzione prevedeva per le revisioni statutarie solo il parere e non l’intesa vincolante, quindi, lo Stato non potrebbe mai più intaccare le autonomie, senza consenso preventivo e diminuire i privilegi; il costituzionalista Michele Ainis l’ha definita, nel silenzio totale, «una fideiussione perpetua», con lo Stato che genera cinque Super-Stati.
Questa nuova disposizione ha fatto dire ai governatori di tali Regioni, in testa la Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia, nonché autorevole dirigente del Pd, «stiamo andando nella direzione giusta, finalmente abbiamo lo stato dell’intesa che ci permetterà di essere più forti di prima». Naturalmente ci sono state dichiarazioni pubbliche dei governatori interessati a votare Sì
Avrei voluto omettere un commento sul potenziale articolo 70 che disciplinerebbe la funzione legislativa, ma è davvero emblematico, nonchè imbarazzante, l’abuso della lingua italiana, con un lessico caotico, proprio il contrario degli ammonimenti del citatissimo, in questa occasione, Calamandrei, secondo cui le leggi devono essere chiare, stabili e oneste.
Poiché le parole creano azioni, è evidente che precetti normativi ingarbugliati generano le relative conseguenze sul piano applicativo, di per sé complesso. E invece, almeno in Costituzione, le parole devono essere scolpite nella pietra, perché ogni cittadino debba potersi riconoscere e qualsiasi modifica non possa tradire lo spirito con cui è stata scritta dai padri costituenti. Come è ingarbugliato il V comma, che prevede la decisione dei Presidenti delle camere, d’intesa tra di loro, sulle eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti, ma, non precisa, se i due presidenti, non sono d’accordo.
Perche poi triplicare il numero delle firme necessarie per la presentazione di proposte di legge di iniziativa popolare, da 50mila a 150mila?
Inoltre, non si può prescindere dalla nuova nomina dei senatori della Repubblica, con la non elezione diretta, e, che, con questa modalita’ di elezione viene meno uno dei cardini della democrazia parlamentare.
Il nuovo Senato sarebbe composto da 95 membri rappresentativi delle istituzioni territoriali, nominati dai consigli regionali e 5 Senatori che potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica. Questo bicameralismo ibrido genererebbe un pericoloso rapporto fiduciario, perché la durata del mandato dei senatori coinciderebbe con quella degli organi delle istituzioni territoriali che li hanno eletti, nonche’ la loro sostituzione, in caso di cessazione della carica elettiva regionale o locale, ciò basta per evincere le relative perplessità di questa delega in bianco.
Il fatto vero è che questa riforma è pasticciata, alcuni particolari, nella loro contraddittorietà, rasentano il grottesco, anche se non vengono evidenziati da chi, si limita ad essere contrario, sulla scorta di valutazioni superficiali e politiche. Per esempio, questa riforma prevede che un consigliere regionale non possa più avere un emolumento superiore del sindaco di un Comune capoluogo, cio’ vale solo per le Regioni ordinarie, e non per quelle a statuto speciale, come la Sicilia, i cui consiglieri continueranno a percepire lo stesso emolumento; altro esempio paradossale, esiste un contrasto insanabile tra gli statuti delle Regioni a statuto speciale, che hanno valenza costituzionale, i quali stabiliscono tuttora, anche dopo la riforma costituzionale, l’incompatibiltà tra consigliere regionale e parlamentare e quindi anche se la riforma lo prevede un consigliere regionale non può essere senatore, per statuto.
Termino, con la convizione che la nostra Costituzione è una garanzia di convivenza moderata, piena di parole ancora da attuare, e abbiamo l’obbligo di difenderla sempre da alterazioni poco chiare, perché è l’eredità lasciata dai padri costituenti, ed è la radice profondissima della nostra democrazia.
Le priorità assolute del nostro Paese restano le questioni sociali e morali, il lavoro e la dignità dei lavoratori, la tutela della salute e del nostro patrimonio storico, artistico e culturale, come la nostra Costituzione già sigilla per oggi e per sempre.
Una lettura corale e intensa dei suoi articoli più significativi sarebbe già sufficiente per accorgersi che valori, diritti e doveri restano solo parole, se sono pochi gli uomini e donne idonei per governare il nostro Paese a tutti i livelli ed essere davvero al servizio della nazione.
Il voto è un momento intimo, coerente e indipendente, o almeno questa è la visione di chi, con orgoglio, crede veramente nelle istituzioni.

*Medico

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