CETRARO Circa 240 tonnellate di fanghi della depurazione svaniti nel nulla e 100 metri cubi abbandonati all’interno degli impianti. La storia della maladepurazione lungo il Tirreno cosentino si ripete. E ancora una volta interessa l’impianto di Cetraro già al vaglio della magistratura negli anni scorsi oltre anche la nuova struttura in località Santa Maria del Mare. Per questa vicenda la Procura di Paola ha chiuso l’indagine a carico di Teodoro D’Ambrogio, titolare dell’omonima ditta che gestisce i due depuratori di Cetraro. Per l’imprenditore gli inquirenti hanno ipotizzato l’accusa di frode nell’esecuzione della gestione degli impianti e smaltimento illecito di rifiuti speciali.
Da quanto ricostruito dagli inquirenti, la società di Corigliano Calabro – che si era aggiudicata l’appalto per la gestione di entrambi i depuratori – tra giugno del 2014 e maggio del 2015 avrebbe omesso di smaltire quanto prodotto dall’impianti sia in località Sottocastello sia quello di Santa Maria del Mare. Secondo quanto emerso dalle indagini condotte dagli uomini della capitaneria di porto di Cetraro, in particolare non risulterebbero smaltiti circa 240 tonnellate di fanghi che avrebbero preso altre vie. Residui che, hanno ipotizzato gli inquirenti che si sono avvalsi anche dei tecnici della Provincia di Cosenza, proverrebbero in parte dal vecchio impianto di località Sottocastello, mentre il resto dal nuovo depuratore.
Stando alle indagini da quest’ultima struttura in circa un anno di attività della ditta a fronte di oltre 160 tonnellate di produzione teorica di fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sarebbero stati trattati soltanto 10,160 tonnellate. Mentre della restante parte, stando ai documenti passati a setaccio degli inquirenti, se ne sarebbero perse le tracce. Da qui l’ipotesi formulata dalla Procura di Paola anche dello smaltimento illecito di queste sostanze altamente pericolose per l’ambiente e la salute umana. Il sospetto è che quel materiale fognario sia finito direttamente in mare attraverso le condotte sottomarine che servono l’impianto anche se difficilmente dimostrabile. Le tubazioni finali degli impianti, infatti, terminano ad oltre 25 metri di profondità nel tratto di costa a largo dei depuratori per cui diviene particolarmente difficile verificare questa ipotesi.
Quel che invece gli inquirenti sarebbero riusciti a dimostrare è la prosecuzione di un modus operandi diffuso negli anni lungo il Tirreno cosentino e che avrebbe interessato anche la gestione del nuovo impianto di Cetraro: la mancanza di un corretto smaltimento dei fanghi di depurazione. Una delle possibile cause del famigerato fenomeno delle lunghe strisce marroni che d’estate funestano il litorale.
Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it
x
x