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Giordano: «Andrò a Vibo senza condizionamenti»

PAOLA «Mi sono sempre sentito un magistrato di servizio che trova la propria realizzazione nel rapporto con la gente e le sue problematiche. Non sono mai stato “carrierista”. Questo, ritengo sia il…

Pubblicato il: 30/11/2016 – 13:31
Giordano: «Andrò a Vibo senza condizionamenti»

PAOLA «Mi sono sempre sentito un magistrato di servizio che trova la propria realizzazione nel rapporto con la gente e le sue problematiche. Non sono mai stato “carrierista”. Questo, ritengo sia il mio punto di forza e al contempo il mio limite». Bruno Giordano, procuratore capo in pectore di Vibo è quel che si definisce un magistrato ante litteram: attaccamento alle istituzioni e alla toga. Ma non nel senso corporativistico. Anzi. Quel suo modo di lavorare per «portare a casa il risultato con dati oggettivi» gli ha procurato più impegno investigativo e meno lodi. Le richieste presentate per altre Procure dopo gli 8 anni trascorsi in quel di Paola e 37 in magistratura, sono cadute nel vuoto. Non l’ultima, però, nella postazione di frontiera di Vibo Valentia. Qui con molta probabilità il magistrato di “razza” – con una robusta esperienza nell’affrontare la criminalità organizzata – dovrà rispolverare il suo fiuto di investigatore sopraffino. Quello degli esordi, nella trincea della Reggio degli anni della seconda guerra di mafia.

LA GUERRA DI MAFIA A REGGIO «Ho trascorso 13 anni in riva allo Stretto», racconta. Sono gli anni più duri: quelli dei 700 e più morti ammazzati per le vie della città. Bruno Giordano era lì. «Quella è stata l’esperienza più impegnativa e anche più forte della mia carriera – ricorda -. Ho lavorato su gran parte di quegli omicidi e con una frustrazione profonda perché non se ne veniva a capo di nessuno per la forte reticenza del territorio a collaborare. C’era una gran paura tra la gente e, nei primi tempi, eravamo tre sostituti assieme al procuratore capo a dover affrontare quella mole di lavoro». E c’erano i limiti di una tecnologia lontana anni luce dalla situazione attuale. «Si immagini – spiega il procuratore capo di Paola – che non c’erano neppure i telefonini e noi dovevamo comunicare con le forze dell’ordine utilizzando i telefoni per avvertirli dei nostri spostamenti durante il turno di reperibilità. Si aveva il timore di poggiare la testa sul cuscino, perché capitava spesso di dover correre per un omicidio commesso nel cuore della notte».

IL PRIMO MAXI PROCESSO AI CLAN Una memoria storica quella di Giordano di quegli anni così duri per Reggio e la Calabria intera. «Istruimmo il primo maxi processo contro i clan e riuscimmo a portare alla sbarra quelli che si ritenevano gli intoccabili della città». Nei ricordi dell’allora applicato alla Distrettuale di Reggio riaffiorano le prime collaborazioni che provenivano dall’interno di un’organizzazione fino a quel tempo granitica. «Ho dovuto gestire per mesi i pentiti più importanti: Giacomo Lauro e Filippo Barreca. Grazie a quelle collaborazioni siamo riusciti a scardinare il muro di silenzi e a ricostruire molto di quanto stava accadendo a Reggio». Nel maxiprocesso Giordano fu applicato alla Procura generale presso la corte d’Appello per seguire tutte le fasi processuali. E per quanto fatto, il magistrato ottenne anche un elogio proprio dalla Procura generale.

L’INCHIESTA CHE DIEDE IL NOME AL SUPREMO E poi c’è un particolare forse poco noto alla storiografia della criminalità organizzata calabrese. «Fu una nostra inchiesta – dice Giordano – a scoprire il nome in codice di Pasquale Condello: “U supremu”. Nel corso dell’operazione “Santa Barbara” riuscimmo a trovare il modo di decodificare tutti i messaggi che gli uomini del clan utilizzavano per comunicare via ricetrasmittenti e uscì anche quel nome». Quell’attività portò alla condanna, poi passata in giudicato, di quello che è stato ritenuto il vero capo della ‘ndrangheta calabrese.

GLI OMICIDI LIGATO E SCOPELLITI Tra le indagini più scottanti che sono passate tra le mani di Giordano in quegli anni il delitto dell’ex parlamentare e presidente delle Ferrovie dello Stato Ludovico Ligato e quello del giudice Nino Scopelliti. Per questo omicidio Giordano riuscì a scoprire per primo il patto di sangue che era intercorso tra le ‘ndrine e Cosa nostra.
Poi gli anni a Palmi prima come presidente di sezione di Corte d’Assise e, successivamente, come procuratore aggiunto di quella Procura, mentre la seconda guerra di mafia stava cedendo il passo alla pax tra i contendenti con la spartizione in tre macroregioni del territorio reggino. Giordano lascia il segno per l’impegno anche in questo periodo come applicato alla Dda reggina.

I DELITTI RISOLTI SUL TIRRENO Prima di approdare a Paola nel 2008 come procuratore capo. E anche qui i risultati della sua azione in quella che definisce rispetto alle sue precedenti esperienza «un’isola felice» sono tangibili. Tanti gli omicidi risolti, tra cui gli ultimi molto efferati come quella di Silvana Rodrigues De Matos, la 33enne uccisa e bruciata nella sua vettura il 12 dicembre del 2015 o come quella di Annalisa Giordanelli, la 53enne medico di base assassinata il 27 gennaio scorso con un piede di porco dal reoconfesso Paolo Di Profio ex cognato della vittima.
Senza dimenticare i casi di Iolanda Nocito, l’ottantenne massacrata a Belvedere nel gennaio del 2013 per il quale c’è già stata una condanna e Maria Vommaro, la 56enne uccisa a Fiumefreddo dal convivente al termine dell’ennesima lite per gelosia. Inchieste per le quali di procuratore capo va particolarmente orgoglioso. «Continuo a ritenere gli omicidi i delitti a cui bisogna prestare la maggiore attenzione e offrire il massimo impegno per garantire una risposta immediata – afferma a questo proposito –. E questo per restituire alla popolazione serenità e quel senso di fiducia nello Stato».

DALLA MARLANE ALLE NAVI DEI VELENI Nel suo curriculum a Paola, non per ultime le grandi inchieste ambientali che hanno fatto accendere i riflettori della grande stampa nazionale sull’attività investigativa di Giordano: l’ex Marlane di Praia a Mare, la valle del fiume Oliva, la maladepurazione e le navi dei veleni. «Avendo avuto le mani libere da inchieste di mafia di competenza della Dda di Catanzaro – spiega il procuratore capo di Paola – abbiamo potuto concentrare il massimo sforzo sui reati ambientali. Anche perché peculiari del territorio dove abbiamo esercitato la nostra azione». Su tutti Giordano ricorda quanto svolto nella vicenda dell’inquinamento della Valle dell’Oliva. «Ci siamo avvalsi dell’opera di un ente istituzionale come l’Ispra e grazie alla sua attività si è riusciti a scoprire che in quell’area erano stati interrati oltre 140mila metri cubi di rifiuti contaminati. È un dato oggettivo sul quale pende un processo presso la corte d’Assise di Cosenza».
E poi c’è il capitolo della maladepurazione lungo il Tirreno cosentino. «Nel tempo – afferma – abbiamo notato una progressiva collaborazione da parte dei sindaci e delle istituzioni per affrontare l’emergenza. E ora il problema in larga parte è stato risolto anche se residuano ancora disfunzioni importanti legati a un sistema di depurazione vetusto e inadeguato per la portata dei servizi che dovrebbe garantire».

IL FUTURO PROCURATORE DI VIBO Metodologia dunque legata alla serietà del lavoro e allo spirito di servizio che Giordano intende trasferire nella sua nuova avventura al vertice della Procura di Vibo. Anche se per quell’incarico manca ancora l’ufficialità che dovrebbe arrivare con il nuovo anno. «Avrò lo stesso spirito che mi ha sempre caratterizzato – sottolinea – quello del funzionario dello Stato al servizio della collettività e nella consapevolezza di dover riaffermare il senso di giustizia innanzitutto avendo le mani libere da qualsiasi condizionamento. La legalità è civiltà e l’applicazione di questo principio è ancor più valida nei nostri territori rispetto che altrove. Per la popolazione, credere nella legalità significa avere fiducia nelle persone che rappresentano le istituzioni. In questo senso le Procure, sono convinto, svolgono un ruolo determinante».

Roberto De Santo
r.desanto@corrierecal.it

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