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LA CATTURA DEL BOSS | Il blitz nella casbah di Rosarno

REGGIO CALABRIA C’era una sola occasione. E non è stata sprecata. Gli investigatori più esperti, quelli che per tre anni hanno consumato suole e notti di sonno per rintracciare Marcello Pesce, sape…

Pubblicato il: 01/12/2016 – 14:25
LA CATTURA DEL BOSS | Il blitz nella casbah di Rosarno

REGGIO CALABRIA C’era una sola occasione. E non è stata sprecata. Gli investigatori più esperti, quelli che per tre anni hanno consumato suole e notti di sonno per rintracciare Marcello Pesce, sapevano che se il boss fosse sfuggito alla cattura, avrebbe messo in campo tutti i suoi contatti internazionali pur di farsi di vento. Per questo, per pianificare la sua cattura, nulla è stato lasciato al caso.
Silenziosi come gatti, cento uomini della Mobile e dello Sco sono arrivati a Rosarno. Ombre fra le ombre, attorno alle 5, quando la luce neanche si affaccia all’orizzonte, si sono mossi come un uomo solo. Tutti sapevano precisamente cosa fare e quando farlo, secondo un copione ripetuto fino allo sfinimento nel corso del briefing operativo di ieri notte in Questura.
Gli agenti in divisa hanno circondato il paese, bloccando tutte le strade di ingresso ed uscita, mentre altri colleghi si sono occupati chiudere il centro storico. Una doppia cinturazione, per non correre rischio alcuno in caso di fuga del latitante. All’interno, una squadra di uomini scelti, si è addentrata nel ventre del paese. «Una casbah di case addossate una sull’altra» dice uno dei pochi investigatori che questa mattina – cuore in gola e sensi all’erta – ha fatto irruzione in casa del latitante. Un’operazione difficile e pericolosa. Marcello Pesce si nascondeva in una casa di due piani, nel cuore del centro storico. Solo una quindicina di uomini, in silenzio, si sono potuti avvicinare. E i Pesce – si sa – sono sempre stati protetti da una rete importante di fiancheggiatori, pronti anche a sparare pur di proteggerli.
Ecco perché tutto è stato fatto in assoluto silenzio e con rapidità. In una manciata di secondi, i 15 uomini della Catturandi e della Mobile scelti per l’irruzione, guidati dai dirigenti Fabio Catalano e Fabio Amore, sono arrivati al secondo piano. Alcuni sono entrati nella stanza di Pesce, gli altri hanno bloccato i due uomini che si trovavano nelle stanze attigue. Assolutamente inconsapevole del blitz in corso, il boss si è fatto sorprendere a letto. «Va bene, sono io, sono io», ha detto agli uomini che in un attimo hanno riempito la sua stanza e lo hanno immobilizzato. «La cattura di un latitante in un territorio come questo segna la fine dell’impunità, uno di quei valori che qui vale quanto una tonnellata di cocaina o di armi», ha detto il procuratore Gaetano Paci. «Questa cattura – ha sottolineato il procuratore capo, Federico Cafiero de Raho – è frutto di una pura indagine tecnica, che è un lavoro faticoso e costoso. Ma spero che il territorio inizi a comprendere lo sforzo che lo Stato sta facendo per ripristinare la legalità. Una volta, i latitanti si prendevano con le fonti confidenziali. Ma una fonte di questo genere è frutto di un accordo fra lo Stato e la criminalità. Qui, da tre anni non c’è stato mai nulla di questo genere perché noi con la criminalità non accettiamo alcun tipo di patto».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it