Considerando anche in termini superficiali il contenuto del “pacchetto” riformista, ci si accorge in termini quanto mai evidenti come lo stesso offra una “summa divisio” di natura ermeneutica interpretativa che può fatalmente sfociare, o in una accettazione fideistica ed acritica come si pretende dalle parti di Palazzo Chigi, vanificando qualsivoglia opposta e diversa tendenza, oppure, invece, se ci si volesse calare all’interno della penombra dei corridoi governativi per illuminare le numerose zone d’ombra della pseudo riforma, spalancando le porte rimaste socchiuse, scardinando quelle accuratamente blindate, molto probabilmente quella parte numericamente consistente del Popolo sovrano chi si è permesso di sottrarsi all’egemonia degli imbottigliatori di nuvole della situazione, fra qualche ora potrebbe sperare in un futuro migliore rispetto a quello ex adverso prospettato con gelida reticenza e perfida ipocrisia.
In quest’ottica, va doverosamente evidenziato che una riforma costituzionale che smonta quasi cinquanta articoli in realtà mal cela un progetto tutt’altro che condivisibile di una nuova costituzione nella cui ottica, farcita da sistematici flash terroristico-psicologici, dilaga una sorta di pubblicità emozionale, quasi da televendita alla Wanna Marchi: “ora o mai più”, “nessuno lo ha fatto, io si”, “i veri partigiani votano si”, “chi vota no non rispetta il parlamento”, “cinquecento milioni ai poveri”, “aumenti stipendi agli statali”, “quattordicesima mensilità”, “sgravi fiscali totali per chi assume al sud”, “incentivi alle partorienti” (prima di Renzi lo fece il Duce…), e dulcis in fundo, manco a dirlo, “la costruzione del ponte sullo stretto”.
Dimenticando che il consenso non si compera e non si vende ma si conquista senza ricorrere a forme di sfacciata corruzione elettorale. E per non correre rischi, in sintonia con le migliori tradizioni sudamericane, è stata occupata “manu militari” la Rai, avvicendando tutti i direttori dell’emittente pubblica, travolgendo anche Bianca Berlinguer (neanche lambita da Berlusconi), sostituita con un direttore politicizzato sicuramente più gradito poiché contiguo alla causa. Ovviamente, anche i sindaci italiani sono stati reclutati turbando il processo formativo della volontà degli stessi, non a caso anche il Presidente dell’Anpi è tempestivamente insorto. Affiora quindi un Senato riciclato con ridotti poteri legislativi composto da novantacinque senatori (più cinque nominati dal presidente della Repubblica), checché ne dica il signor Renzi, eletti dai consigli regionali e non dal popolo, incidendo altresì sul versante della competenza concorrente fra Stato e regioni, ubbidendo ad un sospetto afflato di neo-centralismo statale. Mentre si depotenzia il ruolo del Senato, nobilitandolo con il presunto risparmio sulle spese, visto che i nuovi senatori dovrebbero essere o consiglieri regionali o sindaci part-time, il rimborso spese degli stessi evidentemente è sfuggito al tenebroso riformatore. Che guarda agli spiccioli inventando un sistema ibrido per evitare la navetta inseguendo esperienze federalistiche che non ci riguardano. Ovviamente nessuno sottolinea che nella legislatura in corso sono state licenziate 250 leggi, il cui 80% è stato approvato senza spola in appena 53 giorni di media per legge. Idem per la decorsa legislatura! Irrilevante, secondo il Renzi pensiero, la programmata variabilità e discontinuità del quorum strutturale del Senato in quanto i componenti dello stesso restano in carica per la stessa durato del mandato elettorale periferico, per cui gli equilibri senatoriale potrebbero più volte modificarsi nel corso della stessa legislatura.
Quanto alla Camera, la stessa resta articolata in 630 membri eletti a suffragio universale – rectius – un’altissima percentuale nominata dalle segreterie dei partiti visto che i capilista dei vari collegi non hanno bisogno del conforto elettorale. In questo caso il contenimento delle spese resta un optional nel cui quadro si incide anche nell’elezione del Presidente della Repubblica alla quale non concorrono più i grandi elettori poiché la platea degli stessi ed il quorum vengono sensibilmente modificati. Si rimette mano al Titolo V della Costituzione recuperando alla casa madre alcune importantissime competenze quali protezione civile, energia, infrastrutture strategiche, riservando, altresì, alla Camera la possibilità di sconfinare nelle competenze attribuite alle Regioni per «tutelare l’interesse nazionale». Si riduce sensibilmente il ruolo del popolo sovrano che per le leggi di iniziativa popolare dovrà raccogliere non più cinquantamila bensì centocinquantamila, come dire «non disturbate il conducente». È stata, altresì, consumata la mortificazione dell’art. 72 della Costituzione per l’esame delle leggi costituzionali, privilegiando il governo di poteri emendativi eccezionali, precludendo ai singoli parlamentari di sub emendare le proposte del governo e proibendo altresì ai parlamentari in dissenso con i gruppi di appartenenza di presentare propri emendamenti. Le deroghe previste ai regolamenti della Camera e del Senato costituiscono opzioni esercitate sulla dignità della libertà dei parlamentari compressa ed umiliata unitamente al ruolo di fondamentale centralità del parlamento. Se poi ci si ricorda che riforma (si fa per dire) costituzionale e “Italicum” sono stati approvati da un parlamento eletto in virtù di una legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale, si ha un quadro chiaro della deriva antidemocratica che scandisce l’attuale momento politico della Repubblica Italiana avviata verso esperienze tirannico-democratiche che restano forme di governo fra le più feroci che la storia ricordi.
La sintesi operativa di questo avventatezza coltivata dal binomio Napolitano-Renzi è lo smantellamento della Costituzione vigente (che certamente abbisogna di adeguamenti) ed appare decisamente irriguardosa delle opposizioni, quanto mai preoccupata per un verso di eliminare possibili “fastidi” al governo, e per altro decisa a ridimensionare il ruolo delle regioni nei confronti dello Stato. Il tutto ispirato da un presidente del Consiglio mai eletto il cui unico confronto elettorale è stato ben perimetrato all’interno del Congresso del Pd. Non basta per coercire la libertà di voto degli elettori, contraddire la sovranità popolare, sottrarre ai cittadini elettori il diritto di eleggere il Senato, sterilizzare gli spazi per l’iniziativa legislativa popolare e parlamentare, attribuire allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materie importantissime quali le politiche sociali, la tutela della salute, il governo del territorio, l’ambiente, il turismo, ecc., che costituiscono la forza trainante dell’autonomia legislativa regionale. Sullo sfondo si staglia lo spettro di un’oligarchia dominante, neo-autoritaria che dileggia il sindacato ed irride la Giustizia i cui problemi il riformista per eccellenza ha inteso risolverli riducendo le ferie ai Magistrati, esodandoli per decreto, prospettando la eliminazione dei Tribunali per i minori, di talune Corti d’Appello, e fra queste anche Reggio Calabria.
Quanto all’italicum, strettamente connesso con la “manipolazione” costituzionale, se De Gasperi sessant’anni or sono, proponendo un premio di maggioranza alla coalizione, passò per un truffatore elettorale, come potrebbe essere definito oggi chi lavora al partito unico della nazione destinato a intascare il premio di maggioranza con criteri che si pongono in palese violazione anche con l’art. 48 della Costituzione? Conclusivamente, se questa astuta e volpina ansia di rinnovamento ha già arruolato Confindustria, banche, banchieri, Montezemolo, Marchionne e dintorni, tanto basta perché io stia “cognita causa” dall’altra parte. Dimenticavo: si concepisce e si disegna a mano libera una pseudo riforma per garantire la stabilità governativa e poi ci si avvia a gran falcate verso l’instabilità della maggioranza al Senato saldamente ancorata ai mandati elettorali territoriali di sindaci e consiglieri regionali travestiti da senat
ori.
*componente del fronte del No
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