COSENZA «Le conclusioni cui è pervenuto il Ctu (consulente tecnico d’ufficio, ndr) sono sorrette da valide e convincenti argomentazioni di carattere scientifico e meritano di essere condivise. Peraltro non sono state oggetto di contestazioni da parte della convenuta Asp». C’è un buco nero nel “caso Mauro”, e non riguarda – non direttamente almeno – il comportamento del direttore generale dell’Azienda sanitaria cosentina. Ha a che fare, però, con l’atteggiamento dell’Asp rispetto alla causa di servizio di quello che sarebbe diventato il dg. La sanità cosentina, infatti, si è costituita in giudizio contro il manager – che chiedeva il riconoscimento di una patologia legata al lavoro svolto – ma ha evitato di chiedere il supporto di un consulente per verificarne le condizioni di salute. Raffaele Mauro lamentava una depressione dovuta al periodo in cui ha gestito le pratiche della sanità privata, un settore attorno al quale orbitano interessi milionari. E poi c’è il «clima lavorativo assai poco sereno», «le segnalazioni effettuate tramite la stampa locale», il «grosso carico di responsabilità». Tutti fattori di stress legati al lavoro che Mauro svolgeva, stando al consulente nominato dal Tribunale. All’Asp, però, la pensavano diversamente: «È indubbio – sono sempre parole del giudice – che il comitato di verifica per le cause di servizio, pur riconoscendo il ricorrente affetto da “sindrome depressiva” ha escluso la dipendente da causa di servizio della suddetta patologia». Nonostante tutto, negli uffici della sanità cosentina – che Raffaele Mauro sarebbe andato a dirigere un mese dopo l’emissione della sentenza – nessuno ha pensato di continuare a difendere quella posizione davanti al Tribunale del Lavoro. Un’anomalia sottoposta al vaglio degli inquirenti che, da settimane, hanno aperto un fascicolo sul “caso Asp” (e non soltanto sulle vicende che riguardano il direttore generale).
LA COMPATIBILITÀ CON IL LAVORO Difendersi davanti al giudice non è l’unica cosa che l’Asp avrebbe potuto fare e non ha fatto. C’è, infatti, una procedura che l’Azienda avrebbe potuto avviare dopo il riconoscimento della causa di servizio. Mauro, nella sua replica alla stampa del 31 ottobre scorso (e in una lettera inviata al dg del dipartimento Tutela della Salute, Riccardo Fatarella), spiega che la sua condizione (quella sancita dalla sentenza del Tribunale del lavoro) «è pienamente compatibile con l’espletamento di qualsiasi attività lavorativa, ivi compresa quella di direttore generale aziendale». Il dg, da psichiatra, sa certamente di cosa parla. Le procedure, però, prevedono anche la possibilità di aprire un’istruttoria interna. È la Commissione medica collegiale che si esprime sulla idoneità al servizio. La struttura che si occupa del personale (è l’Unità operativa complessa guidata da Remigio Magnelli) può avviare la procedura per l’accertamento dell’idoneità psicofisica del dipendente. In questo caso non è successo nulla. Per la verità, l’iter previsto non si attiva quasi mai. E il caso del direttore generale ha confermato la regola. Oltretutto, se la procedura fosse partita, la pratica sarebbe arrivata davanti alla Commissione medica collegiale dell’Asp per l’accertamento della inidoneità al servizio, presieduta – legittimamente – dall’ex compagna del direttore generale. E forse è meglio che non si sia arrivati fino a questo punto, per non alimentare discussioni su altri potenziali conflitti di interesse.
(L’autodichiarazione di Raffaele Mauro, inserita nel fascicolo della sua nomina, è all’esame – assieme al resto dell’incartamento – dagli inquirenti)
L’INCONFERIBILITÀ Nella difesa inviata a Fatarella, Mauro spiega «di non aver sottoscritto al momento del conferimento dell’incarico alcuna dichiarazione mendace, riguardando altri aspetti le cause di inconferibilità e incompatibilità». È questo un altro degli aspetti sui quali sono in corso approfondimenti da parte delle forze dell’ordine. Gli inquirenti hanno prelevato negli uffici della Regione tutta la documentazione che riguarda la nomina di Mauro, inclusa la sua autodichiarazione. Uno degli aspetti da approfondire è se ci sia un conflitto di interessi tra la possibile impugnazione della sentenza del giudice del Lavoro (che l’Asp avrebbe potuto deliberare e non lo ha fatto) e la nomina del dg. È un giudizio che tocca agli investigatori.
IL RISARCIMENTO Ai posteri, invece, la sentenza sul risarcimento che Mauro avrebbe potuto chiedere all’Asp dopo il riconoscimento della causa di servizio. Ancora nella sua lettera a Fatarella, il manager spiega che «nulla ho chiesto a titolo di risarcimento del danno alla persona all’Asp di Cosenza né ho richiesto il pagamento delle spese legali, da me sostenute, in quanto il mio unico fine era la tutela e la difesa dell’esercizio della mia funzione a vantaggio della pubblica amministrazione». Vero, ma il direttore generale non chiarisce se il suo sia stato un formale atto di rinuncia definitivo all’equo indennizzo oppure una sospensione temporanea. E tra le due cose c’è una certa differenza.
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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