Nella sua architettura più profonda, la Costituzione italiana si definisce sulla base delle scelte ideali convenute nel “compromesso costituzionale” stipulato fra le forze antifasciste del secondo dopoguerra. La Costituzione costituisce perciò una “tavola alta di valori” e, al contempo, un “patto di convivenza” necessario fra gruppi, culture e interessi operanti nella società.
Anche per questa ragione essa non può essere né considerata né trattata alla stregua di una legge qualsiasi; non può essere manomessa da leggi elettorali iper-maggioritarie adottate da un Parlamento defedato dalla censura di incostituzionalità che la Corte costituzionale ha comminato al Porcellum. Il Parlamento, peraltro, non si è limitato ad adottare una nuova legge elettorale (Italicum) che sostituisce quella dichiarata illegittima (Porcellum). Dopo pochissimi mesi dal varo dell’Italicum la maggioranza di governo ha avviato la revisione costituzionale col testo “Renzi-Boschi”, e la ha approvata avvalendosi di tutti gli strumenti resi disponibili dalla procedura parlamentare (anche i più forzati e arroganti).
La revisione costituzionale e la legge elettorale, per la procedura seguita e per lo spirito che le ispirano, sono un vero e proprio atto di prevaricazione sul Paese e sullo stesso Parlamento (ancorché costituito in gran parte da “parlamentari nominati” sulla base del premio di maggioranza previsto dalla legge poi dichiarata illegittima).
Il Paese deve saper riconoscere e respingere una simile grave prevaricazione, che si presenta essa stessa di dubbia legittimità sia quanto alla procedura parlamentare seguita sia con riguardo alla palese violazione di principi supremi dell’ordinamento costituzionale che la Corte ha sancito essere indisponibili al cambiamento costituzionale.
Lo scenario che queste due riforme creano definisce i contorni di un nuovo costituzionalismo conservatore, di tipo cesaristico, che si fonda e si accompagna con la svalutazione del Parlamento, l’investitura quasi diretta del “capo” del Governo e il suo rafforzamento bonapartista.
Sono funzionali a questo fine la procedura della “legge a data certa”, la limitazione al di là del ragionevole dei tempi a disposizione del Senato per adottare, quando risulterà necessario e/o solo opportuno, le ‘proposte di modifiche’ ai testi di legge adottati dalla Camera dei deputati, ed anche la forte svalutazione delle autonomie politiche regionali (ma non di quelle speciali che al contrario vengono tenute al riparo dall’applicazione del processo di centralizzazione delle competenze previsto solo per le Regioni ordinarie).
Il combinato disposto fra le due leggi di riforma mette in pericolo gli equilibri della democrazia costituzionale accolti nella vigente forma di governo parlamentare. In particolare, con revisione e con la legge elettorale si mettono gravemente in discussione i rapporti fra i poteri costituzionali attivi (ma soprattutto Parlamento, governo) che, nell’ambito delle democrazie costituzionali moderne, devono rispondere in modo necessario ad esigenze di bilanciamento e di contrappeso, in modo che giammai un potere costituzionale possa sopraffare l’altro. E comunque giammai coinvolgendo in questo processo di revisione l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, da una parte, e l’autonomia dei poteri/soggetti chiamati a svolgere funzioni di garanzia costituzionale nell’ambito della giurisdizione costituzionale (Corte costituzionale), in quella ordinaria (Csm), nella revisione costituzionale (art. 138 Cost.) e nella nomina delle cd autorità di garanzia.
I nuovi equilibri costituzionali che si verranno a determinare, infatti, sono radicalmente messi in questione dall’Italicum in tema di potere di nomina, da parte del solo partito politico che vince le elezioni (il quale se non vince al primo turno sarò costituito dalla più significativa minoranza fra i due principali competitori, a prescindere da ogni presupposto di validità ulteriore del pronunciamento elettorale), di una parte rilevante dei componenti gli organi di garanzia costituzionale (presidente della Repubblica, un terzo dei giudici costituzionali, tutti i membri laici del Csm e dei consigli di presidenza delle magistrature speciali, nonché delle diverse autorità).
I fautori del Sì sostengono arditamente che la revisione serve al Paese per “superare la crisi”.
È del tutto falso. E vero invece che la crisi in cui versano attualmente i partiti politici impone ditenere il testo della Costituzione ben lontano dalla lotta e dalla congiuntura politica.
Le forze parlamentari, se vorranno, possono esercitarsi sulla legislazione ma devono evitare di confliggere sulla Costituzione. Quando verrà raggiunto un ampio consenso su singoli, specifici, profili ritenuti meritevoli di cambiamento costituzionale si potrà allora procedere alle revisioni che si riterranno necessarie, non trascurando che il testo costituzionale chiarisce tale procedura (art. 138 Cost.) quando prevede che l’approvazione di un testo di revisione costituzionale con maggioranze larghe e qualificate esclude di chiedere e procedere al Referendum costituzionale oppositivo.
Il cittadino elettore deve essere in quest’appuntamento storico un “cittadino attivo”.
Il cittadino elettore deve porsi in difesa della Costituzione sapendo che la difesa che con il suo No esprime non costituisce minimamente una rinuncia al cambiamento (politico), bensì il solo rifiuto di una revisione fatta male e in alcune sue parti illegittima costituzionalmente.
L’Italia, che è un grande Paese che ama la democrazia e la libertà, deve avere nel prossimo futuro la possibilità di rafforzarsi come Stato democratico di diritto maturo e apprezzato in tutto il mondo.
*Costituzionalista e già docente Unical
x
x