LAMEZIA TERME Il renzismo calabrese forse è morto proprio lì dove aveva avuto una delle sue prime gemmazioni, i suoi natali. La sconfitta del premier si trasforma, a livello locale, in una debacle senza appello per il suo uomo forte al di là del Pollino nonché segretario del Pd regionale: Ernesto Magorno. Che nella sua Diamante incassa uno dei peggiori risultati di tutta la Calabria. Qui il No è arrivato al 72,18%, ben cinque punti in più rispetto al dato regionale. Una disfatta nel cuore dell’avanguardia renziana e, di conseguenza, una secca bocciatura dell’opera politica portata avanti dall’ex sindaco Magorno.
Il No vince a casa di tutti i big del Pd calabrese, non si salva proprio nessuno. Hanno fallito i colonnelli, ha fallito anche il generale: il governatore Mario Oliverio non riesce a vincere nemmeno nel suo quartier generale. A San Giovanni in Fiore il Lupo della Sila non è riusciuto a portare il Sì oltre il 44%. Un dato che, a parte la pronuncia netta rispetto a una riforma istituzionale giudicata sbagliata, la dice lunga sul residuo appeal di un presidente della Regione che, solo due anni fa, marciava alla testa delle città calabresi come un novello imperatore. Sembrano lontanissimi, quei tempi. Così come paiono retaggi di un’altra era le migliaia di preferenze ottenute dai maggiorenti Pd in giro per la Calabria.
DISFATTA A REGGIO Non si può non parlare di Reggio Calabria, la città dove Renzi ha chiuso la campagna referendaria nella speranza che la sua presenza, in uno con la forza elettorale del sindaco Giuseppe Falcomatà, avrebbe provocato una svolta utile per il referendum. Nello Stretto, però, il Pd è letteralmente naufragato, con il No vicinissimo al 70%, anche qui sopra la media regionale. Letto in controluce, il dato della prima città calabrese è anche da intendere come un messaggio chiaro lanciato a un primo cittadino che – proprio come Oliverio – non più tardi di due anni fa sembrava in grado di catalizzare la stragrande maggioranza dei consensi. Qualcosa è cambiato e, stroncando Renzi, i reggini hanno evidentemente voluto stroncare anche le velleità di un sindaco che, col Sì alla riforma, avrebbe anche conquistato uno scranno nel nuovo Senato. Reggio, però, è un regno, non un feudo personale; e la sconfitta va più o meno equamente suddivisa tra tutta la nomenclatura di un Pd che vanta un presidente del Consiglio regionale, Nicola Irto, un capogruppo regionale, Sebi Romeo, e un sottosegretario, Marco Minniti. Signori delle preferenze che, al giro di boa del renzismo, hanno fatto mancare il loro decisivo apporto in termini numerici.
COSENZA FLOP I cahiers de doléances possono essere aggiornati dal nord al Sud della Calabria. Renzi, infatti, non ha trovato ristoro neppure nella Cosenza di Stefania Covello, una della componenti più influenti della segreteria nazionale (tra l’altro con delega al Mezzogiorno): No sul tetto del 68%. Una percentuale che non lascia scampo a nessuno, nemmeno ai coniugi ex bersaniani convertiti alla rottamazione, Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Questa sconfitta è anche la loro sconfitta.
L’unico che può forse permettersi un sorriso amaro è l’underdog Brunello Censore. Vibo, da ieri, è senza dubbio diventata la città capoluogo più renziana di Calabria, ma il deputato dem può in qualche modo essere orgoglioso (visti i risultati generali) di quanto fatto nel suo paese natale, Serra San Bruno, dove il Sì è comunque riuscito a sfiorare il 42%. È una sconfitta minore, figuriamoci com’è andata in altre presunte roccaforti. Chi poteva mai immaginare che a Pedace, patria del segretario provinciale di Cosenza Luigi Guglielmelli, il No arrivasse quasi al 60%? Ed è andata pur sempre meglio rispetto a Trenta, casa di uno dei consiglieri regionali che più si è speso per la riforma, Giuseppe Giudiceandrea. Da queste parti il No si è avvicinato al 70%.
CATANZARO E CROTONE Amarezze, amarezze anche nella Catanzaro di Vincenzo Ciconte, con il No al 69,75%. A Crotone il risultato finale è ancor più clamoroso: 71,84%. E se la vittoria, alle amministrative dello scorso giugno, ha avuto un solo “padre” – cioè quello della consigliera regionale Flora Sculco, Enzo –, questo capitombolo non può certo essere orfano.
Così come non possono non essere associati a nomi precisi i fallimenti della Conflenti di Antonio Scalzo (No al 69%), della Vallefiorita di Enzo Bruno (59%), della Rogliano di Ferdinando Aiello (63%), della Amaroni di Arturo Bova (54%).
Non ride nessuno, nel Pd calabrese. Le dimissioni di Renzi hanno pesanti concause anche a queste latitudini.
Pietro Bellantoni
p.bellantoni@corrierecal.it
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