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A. A. A. cercansi renziani

A voler essere cinici, alla fine, con riferimento alla Calabria, a trarre giovamento dalle consultazioni referendarie sono stati solo i “quindici uomini d’oro” che hanno condotto l’assalto al cavea…

Pubblicato il: 07/12/2016 – 15:15
A. A. A. cercansi renziani

A voler essere cinici, alla fine, con riferimento alla Calabria, a trarre giovamento dalle consultazioni referendarie sono stati solo i “quindici uomini d’oro” che hanno condotto l’assalto al caveau di Germaneto scappando con un bottino che supera gli otto milioni. E a voler essere ancora più cinici, un insegnamento, i rapinatori, lo hanno lasciato anche ai nostri politici: se la si vuole fare franca non bisogna strafare. E infatti loro, i rapinatori, non si sono attardati a portar via tutto il bottino, hanno preferito lasciare nei forzieri decine di milioni in euro contanti piuttosto che correre il rischio di essere presi con le mani nel piatto.
Sul fronte politico vince il “modello Findus”: tutto congelato ché ibernando cose, fatti e uomini i danni si attenuano. Non ne avrà la giunta regionale che, con buona pace degli annunciatori di sventure (non ne hanno azzeccato una fin qui), resterà pressoché intonsa: massimo rimpasto consentito quello dell’assessore Russo ma solo nell’ipotesi che arrivi la sua nomina a capo dell’Autorità portuale di Gioia Tauro-Reggio-Messina. Non ne avrà, con buona pace dello scalpitante Ciconte, la sinergia Oliverio-Viscomi che proprio ieri e proprio in giunta hanno deciso di esternare il cresciuto feeling fra loro. Non ne avrà il commissario alla sanità Massimo Scura, con buona pace delle rassicurazioni quotidianamente elargite da Pacenza allo stressatissimo Mauro, che proprio ieri si è visto ribadire che non esiste nella norma introdotta con la finanziaria alcun automatismo: cade il divieto per il governo a nominare commissario il presidente della regione commissariata. Ma, ribadisce Gelli, il fatto che il governo possa nominare anche Oliverio non significa che lo farà.
Nessun danno neppure per Ernesto Magorno: la sua segreteria regionale resta blindata al pari del suo rapporto con Renzi. Del resto, Magorno ha colto l’occasione dello scappellotto referendario per ribadire, a chi non se ne fosse ancora accorto, che lui non è il segretario del Pd calabrese, bensì il segretario calabrese di Renzi. Per questo presenterà le dimissioni solo nell’ipotesi che Matteo Renzi decida di lasciare la segreteria nazionale. Tanta fedeltà commuove anche un cattivaccio come Renzi che, in cambio, fa sapere di avere avuto uno sfogo, a caldo, per via del pessimo risultato avuto dal “Si” in Calabria e Campania, ma nell’apostrofare i responsabili non si è riferito a De Luca e Magorno, bensì «ai due governatori». Ergo, De Luca confermato, Magorno invece va sostituito con Oliverio. Fanpage ne prenda nota.
Insomma danni nessuno, almeno in Calabria. Anzi c’è qualche promozione, quantomeno elettiva. L’accidioso Matteo, che cita Baden Powell ma si ispira sempre più ad Attila, nella conta dei buoni e dei cattivi che porta avanti in queste ore, dedica una menzione di merito proprio a due calabresi. Trattasi di Ferdinando Aiello e di Ernesto Carbone. Il primo, agli occhi, del deposto premier, ha il merito di aver invertito il dato nazionale: nominato responsabile per il collegio degli italiani all’estero, porta a casa un 67% di sì. Il secondo, in presenza di una moria di cellulari e di defezione corporali, ci ha messo la faccia ed è andato da Bruno Vespa per una puntata dolorosissima di “Porta a porta”.
Avesse vinto il “Si” ci sarebbe stato uno sgomitare di mancati guappi e un intrecciar di tacchi a spillo di mancate crocerossine. Ha vinto il “No” e la segreteria della redazione di Vespa ha registrato una serie di diserzioni, tra l’indisposizione di Luca Lotti e il mal d’orecchie di Lorenzo Guerini.
Fino alla fatal chiamata: «Ernesto, ci vai tu da Vespa». Ed Ernesto risponde “presente”.
Scherzetti della politica: Matteo Renzi salì al Colle per l’incarico con la Smart di Ernesto Carbone. Esce di scena lasciando a Carbone il compito di difenderlo in quel salotto giornalistico ribattezzato come “la terza Camera”.
E pensare che si era partiti per abolire il bicameralismo.

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