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ECOSISTEMA | Azzarà non risponde al gip

REGGIO CALABRIA Ha fatto scena muta davanti al gip Saro Azzarà, il titolare della nota azienda di raccolta e smaltimento rifiuti, Ased, finito in carcere venerdì scorso per concorso esterno in asso…

Pubblicato il: 09/12/2016 – 19:26
ECOSISTEMA |  Azzarà non risponde al gip

REGGIO CALABRIA Ha fatto scena muta davanti al gip Saro Azzarà, il titolare della nota azienda di raccolta e smaltimento rifiuti, Ased, finito in carcere venerdì scorso per concorso esterno in associazione mafiosa. Di fronte al giudice, che lo ha convocato per l’interrogatorio di garanzia, il noto imprenditore ha preferito non aprire bocca, perché – ha fatto sapere tramite il suo legale – non avrebbe ancora piena cognizione delle accuse che gli vengono mosse. Ben più loquace è stato Azzarà negli anni in cui è stato intercettato dagli investigatori, finendo per raccontarsi come imprenditore “favorito” del potentissimo clan Iamonte.

 

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(L’imprenditore Rosario Azzarà)

IL MONOPOLIO Rapporti che gli hanno consentito – ha svelato la Dda di Reggio Calabria, anche grazie alle rivelazioni del pentito Salvatore Aiello – di gestire in regime di sostanziale monopolio la raccolta dei rifiuti nel basso Jonio reggino. Forte del sostegno dei Iamonte e grazie alla connivenza di diverse amministrazioni, nel corso degli anni l’imprenditore ha intascato con sorprendente facilità appalti e lavori, al prezzo di una manciata di assunzioni, di tanto in tanto, regalate ad amministratori compiacenti.

QUESTIONE DI REGOLE Certo, come tutti, anche lui ha dovuto attenersi alle regole non scritte che regolano il funzionamento della ‘ndrangheta tutta. Nonostante sia in tutto e per tutto imprenditore del clan, anche lui ha dovuto pagare un prezzo – in termini di denaro, assunzioni e forniture – quando ha lavorato nel territorio governato da un clan diverso dai Iamonte. E anche lui si è dovuto piegare quando il clan ha detto no alle sue velleità politiche.

LA POLITICA DEI PAVIGLIANITI È successo a San Lorenzo, piccola perla turistica della costa jonica calabrese, storicamente sotto il tallone dei Paviglianiti. Un clan dai ranghi ridotti ma serratissimi, feroce nell’imporre un controllo pressoché totale del territorio. A fine 2014, il paese avrebbe potuto tornare alle urne, emancipandosi dal commissariamento seguito alle inspiegabili dimissioni del sindaco, che ha rimesso il mandato poco dopo esser stato “salvato” dalla decisione del Viminale di non sciogliere il Comune.

IL PROGETTO DI AZZARA’ Un’occasione ghiotta per Azzarà, che proprio in quel periodo aveva spostato proprio a San Lorenzo la sede centrale della sua Ased. Da sindaco – si è fatto scappare nel corso di una conversazione – avrebbe potuto «dare anche un’impronta di gestione…”due anni – gli ho detto io – e basta!”…anche per fare gli affari…insomma per facilitare gli affari dell’Ased e compagnia bella». Ma ha dovuto rinunciare. Con buona pace delle centinaia di incontri organizzati per non scontentare nessuno e del “tifo” dei suoi contatti romani.

L’AMICO MAURIZIO, COLLABORATORE DI ALFANO La rete di “amici” istituzionali e para-istituzionali dell’imprenditore non si limitava di certo solo a sindaci e assessori del basso jonio calabrese. Al pari di altri – chiacchierati – colleghi imprenditori attivi nell’area ma con l’ambizione ad estendere fuori regione i propri affari, Azzarà aveva amici importanti anche nella capitale. Fra tutti, uno dei più attenti era di certo Maurizio Rotondo, «all’epoca collaboratore del ministro dell’Interno Angelino Alfano, che Azzarà non esitava ad attivare per risolvere questioni che gli stavano specialmente a cuore, come la candidatura, poi ritirata, a sindaco del Comune di San Lorenzo».

FILO DIRETTO CON IL VIMINALE Con lui, l’imprenditore viene intercettato più volte al telefono a chiacchierare degli argomenti più vari, dalle sorti giudiziarie del titolare della Radi, Carmelo Ciccone, alle istanze di un sindacalista di Melito in arrivo a Roma per una vertenza, da contratti e gare alle sfortunate scorribande politiche di Azzarà. Ma Rotondo – a detta dell’imprenditore – non era l’unico contatto importante a Roma.

SOTTO CASA DI COSSIGA A uno dei suoi interlocutori racconta infatti che «Roma è stata così cioè…io mi ricordo quando siamo andati con Carmelo (Iamonte ndr) una volta per impianti…depuratori… se c’erano finanziamenti…autorizzazioni per questo impianto quà…e siamo andati prima in una casa dove sopra abitava Cossiga e sotto c’era uno studio che era chiuso e veniva aperto soltanto per le occasioni, per questo tipo di incontri…va bene? e poi per soldi e compagnia bella abbiamo parlato in un bar, seduti ad un bar, fuori in un coso…eh, si parlava di soldi, di cosi, di finanziamenti e cazzi vari».

CHAPERON DELLA SEI Una location «singolare» a detta del gip e «indicativa della connivenza delle personalità politiche che Azzarà incontrava e che si ritiene abbiano agito a tutela degli interessi dell’imprenditore». E forse non solo se è vero che nel 2014 è lo stesso Azzarà a raccontare «sono andato poi, ultimamente, con quelli della Sei», la nota multinazionale elvetica che da anni tenta di costruire una centrale a carbone sullo scheletro della Liquichimica di Saline Joniche. E – a quanto pare – nella capitale si faceva accompagnare dall’uomo dei Iamonte. «Là – racconta Azzarà intercettato – ci andavo prima in compagnia di Carmelo per altri motivi, poi sono andato con quelli della SEI». E i contatti romani erano di massimo livello.

UN CAPITALE DA SPENDERE L’appuntamento era sempre «alla Camera, l’albergo davanti la Camera dei Deputati», racconta l’imprenditore, il quale ricorda che «là dentro nell’albergo veniva quello…il segretario dell’onorevole…è venuto …inc…Versace, poi è venuto un altro di Reggio, di…non mi ricordo come si chiama…e questo che era di Milano…va bene? gli ho lasciato i bigliettini, cose scritte, gli appunti scritti, eccetera eccetera…ha detto “andiamo e riferiamo all’assessore”». Un “capitale sociale” che, a detta di Azzarà, avrebbe fatto di lui il sindaco ideale per San Lorenzo perché «chi ha contatti con il prefetto, con con con…i ministri e cazzi vari…questo sarei l’unico io».

IL VETO DEL CLAN Peccato che i Paviglianiti non fossero della stessa idea. Diviso fra due anime, il clan non ha raggiunto l’accordo sul nome di Azzarà. E l’imprenditore preferito del clan Iamonte, si è dovuto rassegnare. Con buona pace delle centinaia di incontri organizzati da Azzarà per non scontentare nessuno e mettere in lista tutti i candidati “giusti”. A svelare agli investigatori cosa sia successo è lo stesso imprenditore, che ascoltato dalle cimici rivela «e allora quando, ti stavo dicendo…inc… a un certo punto ho saputo “Azzarà non lo vogliono”… che Settimo era contrario a me ….gli ho detto io ” mi fa piacere…” gli ho detto io».

LE BELLICOSE MILLANTERIE DELL’IMPRENDITORE Fa lo spavaldo Azzarà, a qualche settimana dal termine per la presentazione delle liste minaccia addirittura di andare avanti senza il consenso del clan. «Mi hanno mandato a dire di non candidarmi…la ‘ndrangheta! – racconta intercettato – “ah si – gli ho detto io – e che prendo ordini dall’uno e dall’altro io?Guarda, se sino ad ora avevo intenzione di non candidarmi, ora mi candido!…e faccio i comizi gridando». In un’altra occasione era stato ancor più esplicito «c’era uno, un fratello in disaccordo e l’altro fratello in accordo…appena ho saputo queste cose quà, mi hanno portato da lui e quando io sono passato a prendermi il caffè, dice “non ti candidare, non ti candidare, non ci provare».

RITIRATA Un veto cui Azzarà racconta di aver risposto a brutto muso «gli ho detto ” e salgo sopra i balconi…inc…e grido tutta forza, che sebbene mi hanno m
inacciato sono quà a fare il sindaco». Ma le sue bellicose intenzioni sono risultate nient’altro che millanterie. «Niente di quanto spavaldamente proclamato avveniva. Piuttosto – scrive il gip – questi, messo di fronte al rifiuto espresso dal boss Settimo Paviglianiti, si ritirava in buon ordine dalla competizione elettorale».

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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