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Gli errori della Regione sulla fusione dei Comuni

La Calabria non è una regione normale e, pertanto, occorre fare di tutto per riportarla a comune regolarità. Ultima in tutto ciò che c’è di buono, decisamente prima nell’essere in ritardo su tutto….

Pubblicato il: 09/12/2016 – 10:51
Gli errori della Regione sulla fusione dei Comuni

La Calabria non è una regione normale e, pertanto, occorre fare di tutto per riportarla a comune regolarità. Ultima in tutto ciò che c’è di buono, decisamente prima nell’essere in ritardo su tutto.
Di conseguenza, tocca al governo regionale stabilire regole e individuare gli strumenti del cambiamento. Le maggioranze trascorse hanno, invero, trascurato sia l’une che gli altri. Da quella attuale, ahinoi in segnato ritardo, siamo in tanti a sperare. L’augurio che Babbo Natale ci porti, almeno, più lavoro, una sanità degna di questo nome, una pubblica amministrazione finalmente erogativa di atti amministrativi di pregio, un consiglio regionale che eviti i soliti strafalcioni che hanno fatto conquistare alla Calabria il primato delle leggi fatte male e cancellate dall’ordinamento dalla Corte costituzionale.  

LA LEGGE SULLA FUSIONE DEI COMUNI L’ultima è stata la legge 9/2016 che ha modificato (in stretto dialetto, ha «sturciato») l’art. 44 della legge n. 13/2013 in materia di fusioni di Comuni, ove si è arrivato addirittura alla solita disciplina dall’assurdo costituzionale. Si è pervenuto, infatti, all’ardire di disciplinare che a prevalere nel voto referendario è la «maggioranza dei voti complessivi dell’intero bacino». Come dire gli elettori di un Comune che registra la maggioranza assoluta dei votanti obbligherebbe (alla faccia dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione!) gli altri – intendendo per tali i cittadini degli altri comuni, ancorché dissenzienti – ad essere annessi forzatamente nel nuovo comune.
Ciò accade perché il vero problema delle leggi calabresi, proprio perché spesso ad personas, è quello di inseguire le mode e non già intervenire organicamente sulle problematiche che abbisognano di una regolazione coordinata e largamente condivisa.  

IL RIORDINO DEGLI ENTI LOCALI Si diceva dello «scandalo» di quanto è accaduto in tema di fusioni di Comuni, ove a prevalere è stata (ci auguriamo) la fretta e non già la brutta abitudine di dovere dare presto conto alle comunità locali, dalle quali i consiglieri percepiscono il consenso. Ciò che è accaduto ha dimostrato due cose: l’ignoranza dei principi costituzionali e la inconsapevolezza di inguaiare le politiche locali.
Al riguardo, sarebbe prioritaria, infatti, l’approvazione del riordino degli enti locali, ovverosia la legge attraverso la quale dare specificità attuativa alla legge cd. Delrio nel definire correttamente, in programmata soppressione delle Province, l’esercizio delle funzioni in regime di area vasta. Non solo. Di cogliere l’occasione per disciplinare, prioritariamente, in modo attento e compiuto gli istituti della unione e quello della fusione dei Comuni, fissando criteri di accesso e definendo le procedure relative, indispensabili per perfezionare diligentemente l’estinzione dei Comuni fusi e la costituzione di quello derivante dalla fusione. Elementi, questi, sui quali pretendere poi il voto referendario dei cittadini coinvolti, resi così consapevoli su cosa decidere, al di là della più o meno affascinante denominazione del novellato ente locale. 
Occorre, pertanto, bandire il cinico ricorso a proporre improprie regolazioni, spesso senza considerare la pericolosità che sta dietro un siffatto istituto che, se applicato male, determinerebbe il disastro di consistenti segmenti delle collettività calabresi, magari infatuate nel rincorrere  un futuro immaginato e incautamente promesso ma destinato a divenire la rovina delle cittadinanze coinvolte. 
Fusione vuol dire, non solo immaginare la nascita di una (quasi) metropoli ovvero di un Comune di “tutto rispetto” demografico. E ancora. Non solo un insieme che assicurerebbe (salvo poi dimostrarlo!) un risparmio nei costi di gestione dei servizi e prestazioni da rendere ai cittadini, sino al giorno prima non controllati da una dirigenza spesso incapace e da una politica esibizionistica. Gli obiettivi sono diversi. Prima di tutto quello di divenire un unico centro politico-istituzionale e dunque di acquisire una maggiore autorevolezza istituzionale nel pretendere maggiori finanziamenti verso le Regioni e Ue e una nuova capacità di programmare la crescita e lo sviluppo sulla base delle peculiarità possedute dai singoli Comuni fusi, confusi nell’esprimere una politica locale lungimirante e innovativa. Il tutto affrancato da un bilancio di fusione forte e collaudato nei suoi elementi costitutivi, tale da comprendere se realizzabile o meno tenuto conto delle forze e delle debolezze economico-patrimoniali e finanziarie espressione delle amministrazioni candidate alla fusione, in quanto tali garanti di un migliore futuro sociale.

IL BREVIARIO DEI PASSAGGI ISTITUZIONALI E DELLE CAUTELE Nel determinare correttamente gli avvii alle procedure di fusione, il ragionamento ad essi presupposto deve essere cosciente e severo, scevro dalle più comuni primogeniture e da intenti meramente propagandistici.
Dunque, due gli step bisognosi di cura: 
– dal basso (comunità e associazionismo locale, spesso di buona qualità del tipo quello delle 100 associazioni), proponendo una fondata idea di Città, da provarsi con un attento studio di fattibilità e non già di pretendere di fondersi non solo per riorganizzare il tutto per ragioni di costi pubblici, non altrimenti sostenibili, ovvero per pervenire ad una aggregazione organizzativa dei servizi che mancano ovvero ancora perché affascinati dalle agevolazioni finanziarie (40% di maggiorazione per 10 anni dei trasferimenti statali calcolati sulla base di quelli percepiti il 2010) e dallo sblocco del turn over;
– dall’alto (Regione e associazionismo del lavoro e della impresa), procedendo preventivamente ad una analisi di ciò che succederà in un particolare territorio geo-morfologico come il nostro con la, comunque, programmata scomparsa delle Province, in termini di previsione degli enti di area vasta nonché elaborando una legge regionale e regolamenti attuativi che disciplinino minuziosamente le procedure aggregative, con la individuazione dei “progetti industriali” posti a base degli interventi di unione e fusione dei comuni. Ciò a tutela del concorso obbligatorio dei medesimi alla realizzazione dell’equilibrio economico regionale e, quindi, dell’accesso all’indebitamento dei medesimi per procedere ai necessari investimenti.
 In proposito, uno spazio rilevante dovrà assumere, al fine di valutare la compatibilità economico-finanziaria dell’evento, è l’esame accurato delle dimensioni contabili in gioco. Occorrerà, infatti, indagare sullo status quo attraverso l’analisi dei dati contabili e del loro andamento dell’ultimo periodo, comparando i rendiconti finanziari di competenza e i bilanci di previsione. Un adempimento ineludibile per pervenire alla «somma lineare» dei bilanci, al netto degli oneri specifici sopravvenienti, al fine di determinare le entità dei saldi aggregati in capo all’ente nascente e, con questo, elaborare il più utile confronto. 

*Docente Unical

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