RENDE A una delle domande risponde, involontariamente, Mario Oliverio. Una telefonata interrompe per qualche istante la chiacchierata con il rettore dell’Unical Gino Crisci. Che si mostra un po’ sorpreso: «Ha richiamato subito». Il “subito” significa un paio d’ore, ma per le abitudini e la mole di impegni del governatore, è una specie di record.
E dunque, come sono i rapporti con la Regione?
«Ottimi. Ha aumentato lo stanziamento per le borse di studio di 1,2 milioni di euro. Questa università non è mai andata stata molto considerata dalla politica regionale. Faccio un esempio: la prima visita dell’ex governatore Scopelliti all’Unical avvenne un anno e otto mesi dopo la sua elezione. Oliverio è arrivato qui sette giorni dopo. Non era mai successo. Dirò di più: sono buoni anche i rapporti con gli altri locali, come i comuni di Rende, Montalto e Cosenza. Con Occhiuto c’è stata qualche incomprensione ma ci incontreremo presto».
Insomma, Crisci ha buoni rapporti con tutti tranne che con la maggioranza che lo ha sostenuto tre anni fa.
«Preciso: con una parte della maggioranza, che non è neanche la gran parte come sento dire spesso».
Però il malcontento c’è. E chi la contesta descrive un ateneo in declino.
«L’università non è mai stata bene come in questo momento. Il numero degli iscritti è cresciuto. Abbiamo firmato due accordi con la Regione che ci garantiscono 70 milioni per sanare il gap rispetto alle aule e altri 22 per progetti infrastrutturali. Siamo l’università con il risparmio energetico più elevato d’Italia. Copriamo il nostro fabbisogno con i pannelli fotovoltaici e con il geotermico e riusciamo a risparmiare un milione di euro all’anno. E c’è una cosa che ritengo ancora più importante: per la prima volta l’Unical è nel ranking internazionali degli atenei, al 351° posto a livello mondiale. Non mi sembrano risultati da buttar via. Infatti chi mi critica parla di declino sempre in modo molto generico».
Allora cosa succede?
«Ovviamente mi sono posto questa domanda. Posso dire che le ostilità sono cominciate con la nomina del nuovo direttore generale (Alfredo Mesiano, ndr). Il nuovo corso non è stato gradito da qualcuno, ma era necessario per rinfrescare l’aria e, tra l’altro, lo prescriveva la legge».
E invece?
«E invece mi sono accorto di una differenza: per me cambiare vuol dire cambiare, per alcuni miei colleghi cambiare vuol dire non cambiare».
Ma lei cos’ha cambiato?
«Il fulcro della struttura amministrativa dell’ateneo».
Quindi il problema è il nuovo direttore generale?
«Per la verità chi mi va contro non ha espresso giudizi negativi sulla persona che ho nominato ma sul metodo. Secondo i miei detrattori avrei dovuto effettuare una call prima della nomina. Io, però, ho seguito il dettato legislativo. Ho proposto un nome nuovo ed è iniziata una guerra».
Però, stando a quanto dice lei, il nome andrebbe anche bene. Cos’è che non va allora?
«Non va il rettore. È una guerra al rettore iniziata con la scusa del nuovo direttore generale. Nasce tutto per far fuori Crisci: ma la polemica è strumentale».
Far fuori Crisci per fare cosa?
«Per prendere il suo posto».
Questo ci riporta ai rumors delle elezioni che l’hanno portata al vertice dell’ateneo? Il chiacchiericcio diceva: dopo Crisci toccherà a Perrelli. Secondo lei qualcuno vuole anticipare questo passaggio?
«Forse sì, anche se mi pare un po’ complicato».
E qui serve un passaggio “tecnico”. Un rettore si cambia se i due terzi del Senato lo sfiduciano: in quel caso il giudizio si rimette al corpo elettorale, che può ridargli la fiducia o il benservito. «E questa è una via difficilmente percorribile», spiega Crisci.
Oppure?
«Oppure si tenta di far saltare i nervi al rettore, che mi pare il tentativo in atto».
E questo è più facile?
«No, non è più facile. È soltanto logorante».
Chi tenta di volare alto su queste polemiche interne propone, alla base dello scontro, una questione di prospettiva: una parte dell’ateneo schierata per un futuro da teaching university, l’altra per l’opzione research university. Che ne pensa di questa lettura?
«Questo può essere un altro dei motivi perché io ho detto: per i primi tre anni noi trattiamo tutti i dipartimenti nello stesso modo, poi nella seconda parte aiuteremo le strutture che hanno dimostrato di essere di qualità. E forse anche questo è un problema: chi mi attacca effettivamente appartiene ai dipartimenti da questo punto di vista più deboli».
Gli scontri sono continui, quotidiani. Sia nelle newsletter a uso interno che sulla stampa.
«E di questo passo ci rimetterà l’immagine dell’università».
Però, a proposito di immagine, la Cgil la accusa di aver trasformato l’ateneo in una dependance del Pd. Cosa dice?
«Dico che gli altri due sindacati mi hanno votato a favore. E che stiamo aprendo un dialogo sulle questioni che riguardano il personale. La nostra intenzione è quella di non mandare a casa nessuno dei precari e di intervenire sul ministero perché sul piano del personale tecnico-amministrativo siamo sottodimensionati».
C’è la possibilità di aprire a una rappresentanza dei dipendenti nel consiglio d’amministrazione?
«Porterò la proposta (per la quale sono state raccolte delle firme, ndr) in discussione negli organi dell’ateneo».
Ma lei cosa ne pensa?
«La risposta è nel mio programma. Sono contrario, tra l’altro, perché il cda non deve essere formato in modo che i suoi membri rispondano a chi li ha eletti. Deve avere una visione gestionale unitaria sull’ateneo, essere sopra le parti. E finora questo cda lo è stato».
Altra questione “storica”. Facoltà di Medicina sì o no?
«Questo è un non problema. Al ministero hanno già chiarito che non hanno intenzione di aprire Medicina, non solo in Calabria ma da nessun’altra parte. Al massimo aumenterebbero i posti a Catanzaro. Altro però è fare in modo che nascano dei corsi collaterali che diano lavoro e professionalità. Per quelli saremo in prima fila. Una facoltà ha costi altissimi sia per la realizzazione che per il mantenimento. Ha più senso collaborare fattivamente con il nuovo ospedale di Cosenza, abbiamo le capacità per farlo».
A parte Medicina, cosa cambierà sul piano dell’offerta didattica?
«Pensiamo a un nuovo corso di laurea nel settore agroalimentare, sempre in armonia con le altre università calabresi. Per attivarlo serve l’accordo nel Coruc: la nostra scelta è rivolta soprattutto al settore ingegneristico, non toccheremo il primario, lavoreremo sulla trasformazione».
Bisognerà parlarne con la Mediterranea (che ha un corso di laurea in Agraria)…
«Sì, ma noi vogliamo agire in concordia con gli altri atenei. Con i quali, tra l’altro, i rapporti sono ottimi. Prima che arrivassi io le università calabresi facevano a botte tra loro, adesso il clima è cambiato. I buoni risultati con la Regione si devono anche a questo: nessuno prova fughe in avanti a discapito degli altri. Andiamo avanti insieme. Vorrei che fosse chiaro che il clima con il territorio è ottimo. Abbiamo possibilità enormi per crescere. Gli unici problemi veri sono le leggi nazionali che ci penalizzano. La vera lotta dovremmo farla contro il governo: siamo penalizzati sia in termini di Fondo di finanziamento ordinario che di corpo docente, ma sono questioni che dipendono da leggi nazionali».
Un refrain che ritorna…
«Sì, e mi propongo per il prossimo futuro di fare una grossa lotta con il coinvolgimento di tutti quelli che vorranno darci una mano. Guardi, se fac
essimo un discorso medio sull’Ffo a livello nazionale dovremmo avere 20 o 30 milioni in più. Dipende dai criteri storici ma la sproporzione è evidente: noi abbiamo 2.900 euro per studente, Messina 4.500».
Mi pare che lei voglia spostare lo scontro all’esterno.
«Meglio fare una battaglia per le cose davvero importanti, tanto io non mi dimetto».
E fin qui ci siamo, però le si contestano pratiche di gestione poco trasparenti. Per esempio gli incontri “face to face” con i ricercatori.
«Chi me li contesta non dice che, per due anni, quando gli incontri “face to face” li abbiamo fatti insieme, gli andavano benissimo».
E poi c’è la storia del Pon Materia affidato a un prof in pensione. Possibile che non ci fosse nessun altro?
«La questione è semplice: quel docente ha iniziato il progetto e lo ha seguito fino alla soglia della pensione. Il mio interesse e quello dell’università è di portarlo a termine senza far perdere all’ateneo diversi milioni di euro. Mancano soltanto sei mesi, perché avrei dovuto rischiare? È un altro attacco strumentale: una parte, fortunatamente minoritaria, dei colleghi preferisce peggiorare l’immagine dell’ateneo per seguire ambizioni personali. Che facciano pure, ma qualcuno pagherà il conto».
Pablo Petrasso
p.petrasso@corrierecal.it
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