COSENZA I rustici e le bevande del rinfresco, nella sala adiacente di Confindustria Cosenza, attendono solo di essere colti dagli ospiti della Primavera del Cinema Italiano. Ultime domande, un’altra foto, le interviste televisive dopo. Quando boom, la notizia deflagra. Sarà anche «una provocazione», così come la presenta Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, ospite d’onore della giovane ma ormai significativa kermesse di celluloide calabrese, ma è una provocazione che, direbbero i giovanissimi che lo hanno seguito per l’intera mattinata nell’apposito incontro con le scuole al Cineteatro Citrigno, “spacca”.
«Parliamoci chiaro – dice Pif – della Calabria e della lotta alla ‘ndrangheta non frega un c… a nessuno». Un lungo brusio di approvazione è la risposta da parte dell’uditorio. Perché, in fondo, il conduttore e, ormai, cineasta palermitano, supplendo alla mancanza di politica alta – e infatti una volta si diceva che il cinema è politica -, avanza una constatazione che è percezione diffusa, fra i calabresi innanzitutto. Che poi, la frase, non deve essere decontestualizzata dalla conferenza stampa in cui il regista di “La mafia uccide solo d’estate” e “In guerra per amore” incalzato dai cronisti – «Ma quanti giornali ci sono da ‘ste parti!?!», esclamerà col sorriso – non attacca mica inquirenti e istituzioni bensì punta il dito sui meridionali innanzitutto, da meridionale. Quando ci si reca alle urne a votare personaggi «alla Totò Cuffaro» ad esempio: «Se le morti di Falcone e Borsellino sono servite a qualcosa – continua – dipende dal nostro comportamento di tutti i giorni», spiega. D’altronde, le mafie hanno poco umorismo e prenderle un po’ in giro potrebbe essere il segnale di una risalita. In una terra, la Calabria, dove proliferano le fiction e pure (buoni) film sulla ‘ndrangheta ma non prodotti capaci di dissacrarla e non mitizzarla «un capolavoro come il Padrino ha fatto dei danni…» chioserà. Qualcosa che ricordi insomma i suoi lavori. Certo l’incontro di Pif con Cosenza, e coi giornalisti, ricorda un po’ le tele di Chagall. Fluttuante ma solido, semplice, a tratti fanciullesco eppure mai banale. E si racconta anche. «Paraculo no, ma fortunato sì quando ho ricevuto la chiamata giusta per fare i film» e ansioso di continuare a lavorare sul set. Magari evitando di dirigere un terzo film sempre sulla mafia «altrimenti rischio di andare in analisi» e giù risate. Anche se, si smentirà qualche minuto dopo: «Vorrei raccontare il Maxiprocesso di Palermo, perché quando ne ho parlato col presidente del Senato Grasso, visto che io ormai ho conoscenze…» gioca ancora con la sala. Insomma, l’ora è fatta e tempus fugit, Diliberto si congeda con un ecumenico: «Sia lodato Gesù Cristo» schernendo se stesso e il “sermone”. Amen.
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