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CONQUISTA | La ferocia dei Cracolici e la faida per conquistare Maierato

VIBO VALENTIA Raffaele Cracolici – meglio noto come “Lele Palermo” o “massaro Lele” – venne trucidato nella prima mattinata del 4 maggio 2004 da un commando composto da almeno tre sicari, in locali…

Pubblicato il: 14/12/2016 – 19:55
CONQUISTA | La ferocia dei Cracolici e la faida per conquistare Maierato

VIBO VALENTIA Raffaele Cracolici – meglio noto come “Lele Palermo” o “massaro Lele” – venne trucidato nella prima mattinata del 4 maggio 2004 da un commando composto da almeno tre sicari, in località “Speziale” nel comune di Pizzo Calabro. La vittima venne massacrata a colpi di kalashnikov e di fucile a pompa caricato a pallettoni mentre si trovava in macchina e stava per varcare il cancello dell’azienda agricola dove aveva trascorso la notte con la propria convivente. Cracolici era “ignaro del fatto che oltre quel cancello, posto alla fine di quel viale, lo attende la morte, impersonata da almeno tre sinistri figuri armati di fucile kalashnikov e fucile a pompa, eclissati all’interno di un furgone, di colore bianco, parcheggiato proprio nelle immediate vicinanze del cancello”, scrivono gli investigatori del Nucleo operativo di Vibo Valentia nella ricostruzione dell’omicidio effettuata nel 2007.

IL CLAN ARRIVATO DA PALERMO Ma chi sono i Cracolici? Perché vengono considerati feroci e spietati? La storia di questo clan prende le messe nella prima metà del 1900, quando Francesco Cracolici, palermitano, “a causa della sua condotta antisociale, da Palermo viene spedito in soggiorno obbligato in Maierato”, scrivono gli investigatori che ricostruiscono la storia del clan e dell’ambiente nel quale Raffaele è maturato. Una famiglia numerosa, 11 elementi, “tutti pericolosi pregiudicati – scrivono i carabinieri – eccezion fatta per la madre e l’unica sorella”. Nel giro di pochi lustri il nucleo familiare, “grazie alla forza intimidatrice derivante dal numero dei componenti e dalla loro pericolosità sociale si impossessa di buona parte dei terreni agricoli dello stesso Comune di Maierato e di quello limitrofo di Filogaso, espropriando nei fatti i legittimi proprietari, che, per timore di gravi e reali rappresaglie subiscono senza reagire”. Per chi reagiva le rappresaglie erano pesanti: danneggiamenti, gravi umiliazioni in pubblico, bastonature, e finanche aggressioni con armi da fuoco. Due sono le punizioni “esemplari” contro le disobbedienze all’ordine imposto. Domenico Servello aveva denunciato uno dei Cracolici per continui danneggiamenti: venne ucciso a colpi di pistola. Luca Belsito venne ferito gravemente da tre colpi di pistola perché reo di non avere eseguito l’ordine di non frequentare l’abitazione di Giuseppe Cracolici.
Ma la famiglia fa un vero e proprio salto di qualità agli inizi degli anni ’80 quando, da delinquenti rurali dediti a reati attinenti alla pastorizia, passano alle estorsioni e reinvestono nel traffico di stupefacenti e di armi. La creazione di una zona industriale nella periferia sud/ovest di Maierato permette ai Cracolici di diventare un vero e proprio clan, con a capo Raffaele, che domina fino agli inizi del 2000, quando gli appetiti della nuove consorterie limitrofe si dirigeranno su Maierato.

LE MANI SULL’AREA INDUSTRIALE C’è un piano preciso dietro al massacro di Raffaele Cracolici. A Maierato sta sorgendo una nuova zona industriale, una realtà, scrivono gli investigatori, che “produce e mette in circolazione una significativa massa di denaro, trasforma quel territorio in un boccone assai appetibile per le confinanti compagini criminali […]”. Questa situazione non sfugge all’occhio vigile dei Bonavota che, con gli Anello e i Fruci, sono determinati a conquistare il territorio maieratese. Un primo passo lo fanno già nel 2002 quando decidono di gestire un bar, a nome della moglie di Nicola Bonavota, nell’area antistante il Center Gross. L’operazione di “invasione” dell’area industriale di Maierato, però, non poteva non tener conto degli interessi e del clan Cracolici che “certamente avrebbero opposto resistenza a qualsivoglia ingerenza”, scrivono i militari che indagano sull’omicidio. Lo scontro armato, in sostanza, era stato messo in conto come inevitabile.

LE DICHIARAZIONI DI MICHIENZI E MANTELLA Francesco Michienzi era agli ordini di Vincenzo Fruci, entrambi organici al clan capeggiato da Rocco Anello da Filadelfia. Sono, quelle di Michienzi, le prime dichiarazioni sul delitto Cracolici. Dichiarazioni che puntavano il dito contro Domenico Bonavota, quale mandante, e Vincenzo Fruci , che con i suoi avrebbe gestito la fase logistica e che vennero ritenute inattendibili dalla corte d’Assise di Catanzaro che il 20 ottobre 2010 assolveva i due imputati. Oggi quelle dichiarazioni combaciano, secondo gli inquirenti, con quanto dichiarato dal neo collaboratore di giustizia Andrea Mantella. Recuperate le armi e meditato il piano, racconta Mantella, sono cominciati i pedinamenti. La mattina del 4 maggio 2004 dopo avere dormito in una zona limitrofa al luogo dell’omicidio, Mantella, Francesco Scrugli, Francesco Fortuna, Onofrio Barbieri e Domenico Bonavota “dopo il caffè, siamo usciti di casa – racconta Mantella – dalla collina abbiamo intravisto la macchina grigia nel piazzale, con il cannocchiale, abbiamo detto che era la volta buona, dalla collina siamo scesi sulla strada con la mia Mercedes classe A, siamo andati al capannone a Sant’Onofrio, dove era tutto pronto, io e Bonavota ci recammo a far strada al furgone che era guidato da Onofrio e Barbieri, all’interno c’era Scrugli e Fortuna”.
Piazzato il furgone in una piazzola vicino al cancello della azienda della compagna di Cracolici, la Mercedes va sulla collina. Qui, dopo un’ora circa, Mantella e Bonavota sentono gli spari di Fortuna, armato di kalashnikov, e Scrugli, armato di fucile automatico. “Dopo gli spari – prosegue il collaboratore – a circa 500 metri, dove c’è un sottopassaggio per evitare di passare dal bivio dell’autostrada” si è riunito il gruppo ed è stato dato alle fiamme il furgone. Quest’ultima circostanza trova riscontro nella testimonianza di una coppia che vive sul posto e che ha visto i movimenti della Mercedes e del furgone.

IL FALSO ALIBI DI MANTELLA Nel corso di un primo procedimento per l’omicidio di Raffaele Cracolici, Andrea Mantella si trovava in carcere. Per evitare di essere incriminato, l’attuale collaboratore consegnò una lettera al suo avvocato Giuseppe Di Renzo – oggi indagato con l’accusa di favoreggiamento aggravato dalle modalità mafiose. “Ricordo – racconta Mantella, che io diedi una lettera all’avvocato Di Renzo affinché la consegnasse a mio cugino Francesco Lo Bianco, detto Bilancia; dissi all’avvocato di non leggerla e lui mi disse che non lo avrebbe fatto; non dissi all’avvocato che volevo che mio cugino avvicinasse Falvo, uno dei due fratelli Antonio o Domenico, quello che gestiva il mattatoio vicino alla casa di Cracolici. Nella lettera incaricavo mio cugino di dire a Falvo che quel giorno ero stato da lui”. Il piano funzionò. L’imprenditore (Antonio Falbo, nda) rese le dichiarazioni che salvarono Mantella che venne scagionato dal Riesame. Sono trascorsi 12 anni da quell’omicidio ma le indagini effettuate dai militari delle stazioni del vibonese, coordinate dalla Dda, e i riscontri che hanno trovato con le dichiarazioni di Mantella, hanno fatto nuova luce sulla faida di Maierato.

Alessia Truzzolillo
a.truzzolillo@corrierecal.it

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