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Amelio e il film su Catanzaro. Ecco una proposta

Se Gianni Amelio, il regista di fama internazionale nato a San Pietro Magisano 71 anni or sono, tornato dopo trent’anni a Catanzaro, vuol dare seguito alla sua promessa di fare un film sulla città,…

Pubblicato il: 19/12/2016 – 6:52
Amelio e il film su Catanzaro. Ecco una proposta

Se Gianni Amelio, il regista di fama internazionale nato a San Pietro Magisano 71 anni or sono, tornato dopo trent’anni a Catanzaro, vuol dare seguito alla sua promessa di fare un film sulla città, questa volta ne ha l’occasione. Non un film su anonimi “spaghetti western” in versione ‘ndranghetista nel contesto di una città prostrata o sceneggiature soft porno sulla profonda provincia italica, ma un film da cavare da un corposo e suggestivo saggio-giallo.
 Su invito del circolo Placanica, il regista è tornato a Catanzaro non per spiegare, senza più circonlocuzioni, il suo difficile rapporto con la Calabria, ma per promuovere il suo esordio nella narrativa con “Politeama” (Mondadori). Il titolo del libro evoca lo storico cinema catanzarese al cui posto oggi vi è l’omonimo teatro la cui architettura (Paolo Portoghesi) Amelio ha strapazzato definendola  “mostruosa”. Fin qui niente di trascendentale. Però, la sua proposta di fare un film su Catanzaro, la città dove ha frequentato il magnifico “Galluppi”, non c’entra un fico secco con l’indifferenza della politica (che non gli avrebbe consentito di procedere nel progetto) ormai chiamata in causa anche quando si fa una scorreggia. Dunque: Amelio vuol fare un film su Catanzaro? Ecco la proposta: metta in scena il saggio-giallo Lo strano delitto, edito da Città del Sole, scritto dal giornalista Bruno Gemelli dopo tre anni di ricerche negli archivi. La storia è la seguente. Nello storico rione della Maddalena a Catanzaro, che il regista de “I ragazzi di via Panisperna”, “Porte aperte”, “Il ladro di bambini “, “Lamerica”, “ La stella che non c’è”, “Il primo uomo”, “L’intrepido”, conosce molto bene, a mezzanotte circa del 1° aprile del 1965, sette colpi di pistola calibro 7.65 stroncano Luigi Silipo: dirigente comunista e sindacalista, in una paciosa città di 75 mila abitanti in cui l’ultimo omicidio era avvenuto 25 anni prima. L’assassino (o più d’uno?, neanche questo s’è riusciti ad appurare!) non è stato mai consegnato alla giustizia. Sette colpi, “sette” moventi e tanto rumore per nulla. Delitto passionale o delitto politico? Ancora adesso, a mezzo secolo dal fattaccio, la risposta è, per quanto ci si possa lambiccare il cervello, un penoso “buh…” Di sicuro: delitto feroce (l’assassino ha infierito sulla vittima, dei sette proiettili 2 alla testa), di cui forze dell’ordine e magistratura non sono riuscite a venirne a capo. Visto come sono andate le cose in quegli anni e dopo il forte interesse mediatico e una virulenta polemica politica, ogni tesi sull’omicidio s’è dissolta, benché, quella politica in specie, sia stata rivangata a più riprese dai quotidiani (dal ’66 in avanti però è calato il silenzio tombale).
Caso chiuso. Al punto che il “caso”, semmai, può generare tuttora interesse, sì, ma non per la tesi del delitto politico, fondata su ipotesi fragili e inconsistenti. Ma per lo spreco enorme di energie da parte degli inquirenti, che, rispetto ad un delitto circoscritto nel tempo e nello spazio, non sono riusciti a chiarire alcunché. Nemmeno – per capirci – se Silipo avesse avuto (e chi era) una fidanzata; chi erano i due tizi sospetti che il giorno prima dell’omicidio furono avvistati alla Maddalena; che fine fece il mazzo di chiavi che Silipo non trovò più e la cui esistenza ipotizzava un misterioso appartamento. Delitto, si badi, non perfetto, ma irrisolto. Una tesi, però,  tra le diverse da Gemelli prospettate, quella politica, non è per nulla convincente. Dunque, Luigi Silipo: «Una persona perbene», 49 anni, comunista, ex segretario provinciale della Federazione di Catanzaro e membro del Comitato centrale, segretario regionale dell’associazione sindacale che faceva capo al Pci “Alleanza contadina”, direttore del periodico Calabria domani, figlio di un gioielliere, scapolo e «mai visto con una donna», «senza amici», al cinema da solo, qualche passeggiata su corso Mazzini, taciturno e discreto fino all’inverosimile, abitudinario (alle 20.30 a casa dalla madre e dalla sorella con cui coabitava), unico “vizio” le vacanze nei paesi dell’Est.
Sul piano della speculazione intellettuale, Luigi Silipo, non ha ideato alcunché di rilevante, nelle battaglie per le terre che hanno incendiato il decennio ‘43/’53 il suo nome non giganteggia in nessun frangente di quelli memorabili. Lo descrive così, indugiando a una certa ruvidezza, il giornalista Alfonso Madeo, in un articolo per il Corriere della Sera del 9 settembre 1966: «Luigi Silipo, sebbene avesse ricoperto cariche politiche importanti nel catanzarese, era una figura di contorno». La tesi del delitto politico esplose con le dichiarazioni del senatore Luca de Luca (un anno dopo l’assassinio), comunista ed ex volontario franchista, amico di Luigi Silipo, anche se nel ’63 Silipo «non lo sostenne nella candidatura», ed espulso dal Pci (non versava i contributi da parlamentare al partito dal ’63). Un politico, De Luca, che nel corso delle prime indagini sull’omicidio non aprì bocca, ma quando l’espulsione gli fu irrogata, sparò a zero sul Pci (in sintesi: sosteneva che l’omicidio fosse opera «un compagno di partito»). Chiarì, sempre Madeo (settembre ’66): «È utile operare un dimensionamento dell’idea del delitto politico nel caso Silipo. Non pare opportuno richiamarsi ad episodi di eliminazione fisica nel quadro di conflitti ideologici. Né pare che il caso Silipo possa collocarsi in episodi di conflitti fra gruppi impegnati nel mantenimento o nella conquista del potere. Luigi Silipo, sebbene avesse ricoperto cariche politiche importanti nel catanzarese, era una figura di contorno: non risulta che potesse rappresentare un problema per il Pci, che minacciasse avventure deviazionistiche o scissionistiche, che avesse una preparazione culturale e ideologica tale da infastidire i notabili».
Su Gazzetta del Sud il 7 aprile del ’66, il giornalista catanzarese Gerardo Gambardella, pur ascrivendo il delitto ad «un suo irriducibile nemico», scarta la «faziosità politica» e scrive: «Silipo, da sindacalista e da pubblicista, non avrebbe mai potuto attirare su di sé tanto odio e ferocia». Sgombra definitivamente la tesi del delitto politico, Pietro Ingrao che, parlando a Cosenza in quei giorni, è tranciante: «Noi chiediamo che il magistrato interroghi al più presto De Luca. È assai grave e al tempo stesso illuminante che De Luca, dopo aver lanciato la sua bassa insinuazione, non si sia recato subito dal magistrato. È sconcertante che l’ex parlamentare comunista se aveva dati ed elementi attorno all’assassinio del nostro compagno per più di un anno non li abbia comunicati al magistrato e tanto meno al partito. Il suo silenzio è molto grave e tanto più gravi appaiono le sue dichiarazioni fatte all’indomani dell’espulsione dal partito». Punto. 

La domanda è: se non c’è mai stato uno straccio di prova per rendere plausibile la tesi politica, perché si continua ad ossigenarla? Forse per mettere un po’ di grasso in una ministra povera? O c’è dell’altro? Il clima d’omertà, «la città ventriloqua», la paura negli occhi dei catanzaresi, trame di potere, atmosfere evocanti pregnanti dissidi storici dentro la sinistra, paiono più volti a costruire “un caso”, piuttosto che a voler fare luce su un delitto che ha visto una “brava persona” uccisa e il suo assassino farla franca. Caro Amelio, qui c’è ( cosi pare) tutto per un buon film,  da farsi irrorandolo  con le straordinarie intuizioni culturali che i tuoi estimatori, anche calabresi, unanimemente ti riconoscono e per le quali ti stimano immensamente: il giallo, l’assassinio, la Calabria e il Sud  infilati in  tornanti torbidi della storia e in dinamiche politiche globali. Gianni Amelio ha detto d’essere pronto a girare un film su Catanzaro. Sul serio o è stata  soltanto «voce dal sen sfuggita», magari per dare senso ad un incontro con la “sua”
città  troppo a lungo evitato?    

*Giornalista

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