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Grosso guaio al canile di Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA È possibile dare in gestione una struttura pur sapendola non a norma? E ricordarsene circa nove mesi dopo, annunciando lavori che ci mettano una pezza, ma che senza che una gara al …

Pubblicato il: 20/12/2016 – 19:06
Grosso guaio al canile di Reggio Calabria

REGGIO CALABRIA È possibile dare in gestione una struttura pur sapendola non a norma? E ricordarsene circa nove mesi dopo, annunciando lavori che ci mettano una pezza, ma che senza che una gara al riguardo sia stata bandita? A quanto pare, a Reggio Calabria sì.

IMPEGNO A TEMPO DETERMINATO A svelarlo è l’ultimo episodio dell’ormai guerra aperta fra l’amministrazione e i volontari di “Dacci una zampa”, l’associazione animalista che per prima ha rimesso in funzione il canile municipale di Mortara di Pellaro, per anni lasciato a marcire nonostante fosse da tempo completato. Una struttura all’epoca frequentata anche dall’allora aspirante sindaco Giuseppe Falcomatà, che in piena campagna elettorale non ha esitato a “metterci la faccia” insieme alla futura consorte, immortalando il suo impegno «per i cani di Mortara» con il consueto selfie.

CANILE ASSEGNATO Ma l’idillio con i volontari è durato poco. Dopo che Tar e Consiglio di Stato hanno confermato l’assegnazione dell’appalto per la gestione del canile all’associazione Aratea, il sindaco ha usato la mano dura. Nonostante le diverse irregolarità da più parti segnalate – dall’agibilità solo parziale della struttura, al mancato accatastamento, come alla non conformità di spazi e box alla nuova normativa regionale di riferimento, entrambe confermate dagli annunciati lavori – Falcomatà ha deciso di procedere comunque con l’assegnazione del canile.

ASSEGNAZIONE Scortata dalla polizia municipale, ad aprile l’associazione Aratea fa il suo ingresso a Mortara. Dopo un po’ di parapiglia con i volontari di “Dacci una zampa” si trova – almeno sulla carta – un accordo. Loro escono dalla gestione, ma dentro rimangono i cani che nel tempo cittadini, Asp, vigili urbani e forze dell’ordine hanno portato alla struttura, affidandoli ai volontari. Gli animali – si stabilisce – saranno ospiti della struttura dietro pagamento di 0,68 centesimi a cane, cioè la diaria che ha permesso all’associazione Aratea di imporsi sulle altre che hanno concorso per l’assegnazione del canile. Dal punto di vista sanitario invece, con un verbale della dirigente del settore ambiente, Loredana Pace, l’intero canile – sia la parte adibita rifugio, sia quella destinata al “sanitario”– è stata invece affidata al dottore Mario Marroni, responsabile dell’area A dei servizi veterinari dell’Asp. Entrambe, sono ordinariamente gestite dall’associazione Aratea con il proprio personale.

LE PRIME ANOMALIE E qui ci si trova di fronte alla prima anomalia. Anzi, ad una prima serie di anomalie. A metterlo nero su bianco, in una nota ufficiale, otto mesi dopo è il direttore dell’Area C dell’Asp, dottor Giuseppe Giugno, che con una nota sollecita il sindaco Falcomatà «a voler con la massima urgenza nell’ottica di una fattiva cooperazione tra le parti, convocare una riunione per porre fine a questa situazione che ormai si protae da molto tempo e che inevitabilmente oltre a determinare responsabilità di natura economica, amministrativa e penale, crea confusione nei ruoli e nelle competenze istituzionali».

LA DURA LEGGE DEL DCA Perché? Semplice. Il Dca di riferimento, emanato il 31 maggio 2015 dal commissario ad acta alla Sanità, Massimo Scura, stabilisce criteri molto precisi per i canili in regione. In generale, recita il documento, nella stessa struttura non possono esistere canile sanitario e canile rifugio, a meno che non si tratti di strutture municipali in cui le due sezioni siano nettamente divise e delimitate. Diversi sono anche gestione, personale e mantenimento, così come le aree dell’Asp che vigilano su di essi.

LA MUNIFICITÀ DI PALAZZO SAN GIORGIO Secondo la normativa regionale di riferimento, se le spese dei rifugi municipali sono a carico del Comune che li ospita, quelle del sanitario invece competono alla conferenza dei sindaci della provincia per cui il sanitario è riferimento, chiamata anche ad assistere gli animali con proprio personale. Dal punto di vista veterinario invece, se l’Area A è chiamata a vigilare sul sanitario, il canile rifugio compete all’area C. Sottigliezze burocratiche? Non proprio. Ignorandole, l’amministrazione comunale reggina ha dovuto sborsare (quanto meno sulla carta) anche i soldi necessari al mantenimento degli animali per i quali altri sindaci avrebbero dovuto versare il proprio obolo.

ACCREDITAMENTO SÌ O NO? In più, se l’area C non è mai stata coinvolta nella supervisione del canile, come fa la struttura ad essere accreditata, dunque come può operare? Ecco perché Giugno parla di «responsabilità di natura economica, amministrativa e penale». Ed ecco perché la medesima comunicazione è stata mandata per conoscenza anche a Questura, Prefettura, Nas e Nirda (Nucleo investigativo per i reati in danno agli animali della Guardia forestale).

TRA CHIUSURE E ORDINANZE Tutti soggetti che nel corso degli ultimi otto mesi sono stati più volte chiamati a occuparsi del canile di Mortara. E non solo per la chiusura della struttura a causa di un’epidemia, disposta con ordinanza del sindaco del 14 luglio e preceduta di circa un mese da una comunicazione della dirigente Pace. O per i consueti battibecchi – legali e no – tra l’associazione Aratea, che gestisce il canile, e i volontari di Dacci una zampa, che lì hanno ospiti i propri cani.

MESI COMPLICATI Da aprile a oggi, carabinieri e municipale più volte sono dovuti piombare di fronte ai cancelli, su sollecitazione di cittadini e volontari cui è stato interdetto l’ingresso, al canile si è presentata persino una delegazione di Lav e parlamentari del Movimento 5 stelle arrivati a Mortara per un’ispezione conclusasi con un nulla di fatto, mentre più problematica per l’associazione sembra essere stata quella dei Nirda che durante un blitz hanno rinvenuto medicinali ad uso umano, escrementi non smaltiti correttamente e altre criticità strutturali, in tutto e per tutto simili a quelle messe in luce da più parti ancor prima dell’assegnazione del canile. Circostanze alla base di una serie di denunce per maltrattamenti, come in una serie di querele per diffamazione, seguite a battibecchi – dai toni spesso aspri – sui social.

ARRIVANO I NAS Per destare l’amministrazione però ci sono voluti i Nas, che ad agosto – in piena emergenza cimurro – piombano in canile e riscontrano una serie di anomalie, a partire dall’inesistente divisione fra canile sanitario e canile rifugio. Ragion per cui chiedono chiarimenti alla dirigente responsabile, Loredana Pace, ordinando contestualmente immediati lavori di adeguamento. Richieste che il Comune non ha potuto ignorare.

SGOMBERATE TUTTO Ecco perché a novembre, il sindaco Falcomatà ordina lo svuotamento del settore rifugio, in attesa dei lavori di adeguamento, inibendo contestualmente l’ingresso di altri animali. Alla dirigente Pace – prevede l’ordinanza del sindaco – toccherà inoltre individuare altre strutture del territorio in grado di ospitare i cani in attesa del completamento dei lavori di adeguamento. Intimazioni che comportano una serie di problemi.

QUALCHE PROBLEMA Primo, l’ingresso degli animali nella sezione “sanitaria” è regolamentato da rigide norme e – quanto meno sulla carta – non possono transitarci senza specifica motivazione. Secondo, tutte le altre strutture della provincia sono private – dunque lì i cani potrebbero essere trasferiti solo a caro prezzo – e negli anni scorsi più volte sono emerse criticità al riguardo. Ma ad amministrazione e gestori del canile la cosa sembra poco importare. E il meccanismo si mette in moto. O almeno così pare. Ai volontari di “Dacci una zampa”, che in questi mesi hanno lavorato alla costruzione di un’oasi canina su un terreno donato dalla Provincia, è stato ordinato di portar via i cani ospiti di Mortara entro 15 giorni, pena il sequestro. Un provvedimento “abnorme” per i legali dell’as
sociazione e “insensato”.

QUALE URGENZA? Perché – banalmente – il sequestro presuppone un’urgenza che allo stato non è rintracciabile in alcun dove. Sugli albi online, non c’è infatti notizie di gare o manifestazioni di interesse. Che si sappia, mai il consiglio comunale ha discusso della questione. Eppure in ballo rischiano di esserci un bel po’ di soldi. Stando al Dca, per l’adeguamento o la creazione di canili sanitari nella provincia di Reggio ci sarebbero 270mila euro. Se e in che misura il Comune di Reggio Calabria abbia intenzione di contare su questi soldi non è dato sapere, tantomeno se la probabile mancanza di accreditamento possa influire sulla fruizione di questo denaro. Quel che si sa è che – al momento – non c’è documento o albo ufficiale che rechi traccia di questi lavori. E allora perché tanta fretta?

LE DOMANDE DI DACCI UNA ZAMPA «C’è qualcosa che non va e non ha senso in tutta questa storia – dicono dall’associazione – e non si tratta solo dell’ostinazione con cui il Comune ignora le nostre istanze, inoltrate anche via pec, all’ufficio dirigenziale competente e al sindaco. Come mai si scoprono solo adesso le criticità strutturali che noi segnaliamo da anni? Come hanno fatto ad assegnare la gestione del canile pur essendone a conoscenza? Perché tanta fretta di trasferire i cani? E com’è possibile che oggi si organizzino “feste di natale” in una struttura non adeguata e con gran parte degli animali trasferiti nel settore sanitario?». Domande rimaste senza risposta. Ma di fronte al silenzio dell’amministrazione, i volontari hanno deciso di rivolgersi alla magistratura.

Alessia Candito
a.candito@corrierecal.it

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