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La moda (sbagliata) della fusione dei Comuni

Premesso che sono un tifoso delle fusioni dei Comuni. Lo sono perché credo che il sistema autonomistico territoriale – divenuto obeso con i suoi ancora 7.994 Comuni, 108 (inutili) Province, 20 Regi…

Pubblicato il: 25/12/2016 – 8:35
La moda (sbagliata) della fusione dei Comuni

Premesso che sono un tifoso delle fusioni dei Comuni. Lo sono perché credo che il sistema autonomistico territoriale – divenuto obeso con i suoi ancora 7.994 Comuni, 108 (inutili) Province, 20 Regioni e 2 province autonome – debba essere sottoposto ad una drastica dieta istituzionale, pena la sua stessa moria per asfissia finanziaria.
In quanto tifoso, tengo alla mia «squadra»: il Paese. Al riguardo, sono tante le minacce alla sua unità giuridica ed economica, molte delle quali dettate dalla ricorsa a mettere il proprio nome su progetti e su cambiamenti che, spesi pubblicamente come corretta terapia, sono peggio delle malattie. 
È ciò che sta accadendo per l’appunto anche con le fusioni, ove l’accingersi ad esse è moda. Meglio, è spesso il peggio che si possa fare! Ciò perché, nella maggior parte dei casi, il ricorso alla fusione è da considerarsi l’esperimento per salvarsi dal dissesto, spesso «consigliato» agli amministratori da quei dirigenti, espressione del vecchio e del nuovo, che spererebbero di ritrovare così nel futuro «aggiustato» di una nuova città una possibile soluzione alle loro fondate paure di essere chiamati a rispondere di eventuali malefatte del passato.

I RICORRENTI ERRORI DI IPOTESI La più generale precarietà dei bilanci municipali e il frequente sottaciuto (e indecoroso) stato di illiquidità in cui versano numerosi Comuni – tanto da rendere addirittura difficile la disponibilità delle banche a continuare ovvero ad aprire credito per l’ordinario esercizio di Tesoreria – rappresentano soventemente, infatti, le motivazioni recondite della rincorsa sfrenata alle fusioni. Un obiettivo sollecitato, invero, anche dall’aspettativa di percepire «il premio» decennale del 50% dei trasferimenti statali riferiti al 2010, di usufruire del sblocco del turnover al 100%, che riattiverebbe i concorsi pubblici in relazione all’organico vacante, e di godere dei maggiori spazi finanziari regionali in deroga al c.d. pareggio di bilancio per il triennio 2017-2019. 
Si profila, dunque, in tal senso l’ultimo tentativo esperito da taluni enti locali afflitti da cronici problemi di cassa, da disavanzi ancora sommersi e da squilibri strutturali, superati talvolta con entrate straordinarie. Invero, non è infrequente che alcuni dei Comuni – ove permangono residui attivi generalmente inesistenti lasciati perché non risolti dagli accertamenti ordinari (articolo 228, comma 3, Tuel) né tampoco da quello straordinario (ex decreto legislativo 118/2011, articolo 3, comma 7) che ha, tra l’altro, offerto l’opportunità di farlo attraverso il loro accantonamento a fondo crediti di dubbia esigibilità – approccino ad esperimenti del genere, con lo strumentale obiettivo di salvarsi, nella confusione (qui, in senso a-tecnico), dal dissesto/predissesto e dalle consequenziali possibile chiamate in responsabilità contabili e non solo.  

LA REGIONE CONTRO Tutto questo è reso ancora più allarmante dalla costante sottovalutazione sul tema della normativa regionale, limitata a mere e banali enunciazioni e spesso piena di strafalcioni inenarrabili. È stato il caso della Regione Calabria che, nel tentativo di eliminare il quorum referendario previsto da un suo analogo provvedimento legislativo del 1983, ha scritto l’impossibile. Con la legge n. 9/2016 ha, infatti, ritenuto – generando uno sconcerto generale –  che a prevalere nel voto referendario dovesse esser la «maggioranza dei voti complessivi dell’intero bacino». Come dire, gli elettori votanti di un Comune costituenti la maggioranza dei complessivamente validi obbligherebbe (alla faccia dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti locali!) gli altri – intendendo per tali i cittadini degli altri comuni, ancorché dissenzienti – ad essere annessi forzatamente nel nuovo comune. Una Regione in forte ritardo nella produzione di leggi di autentico riordino del sistema autonomistico che dessero regole, anche incentivanti, ai percorsi aggregativi degli enti locali e all’esercizio dei loro ruoli, disciplinanti finanche gli adempimenti da ossequiare per perfezionare o meno la fusione, lasciati alla fin troppo «libera» interpretazione dei Comuni coinvolti. Ciononostante la generale consapevolezza delle altre Regioni di dovere mettere mano, nel dettaglio, alla disciplina dei procedimenti di fusione dei Comuni.

IL «SE» E IL «COME» FARE Dunque, a fronte degli entusiasmi pro-fusione – generalmente da condividersi nella logica di pervenire ad una saggia riduzione degli enti locali e contemporaneo miglioramento dei servizi relativi – bisogna riportare la cautela e i saperi alla base di ogni decisione che, se affrontata confusamente (ancora in senso non tecnico), porterebbe tanti Comuni e tanti cittadini a farsi tanto male. Una ragione della conoscenza indispensabile per capire sino a che punto sia giusto il «se» e comprendere il «come».
Quanto al «se», necessita far di tutto a che le cittadinanze impegnate nel difficile percorso referendario assumano il massimo della consapevolezza possibile dell’evento che – è bene ricordare – determina la perdita dell’identità e sovranità al loro Comune di origine, e produce la confusione (qui nel senso tecnico) dello stato giuridico-economico posseduto, con pressione fiscale locale conseguente.
In relazione al «come», necessita adempiere, con puntualità e precisione, agli step numerosi di cui si compone la complessa procedura, di frequente elusi. Ciò al fine di evitare quella confusione procedurale (non nel senso tecnico) che darebbe modo ai pescatori «di frodo» di farlo «nel torbido»  Preliminarmente, bisogna delineare la Città futura cristallizzando nella contemporaneità «somma veritiera e intelligente» dei Comuni da fondersi.
Dovrà, in buona sostanza, provarsi la sussistenza delle condizioni finanziarie sufficienti ad esercitare le funzioni fondamentali, e a sostenere l’organizzazione e la gestione dei servizi pubblici nonché a garantire le prestazioni essenziali di competenza comunale (assistenza sociale). Propedeutico a tutto questo sono le analisi comparate, tenendo nel dovuto conto dell’imminente cambio di metodologia di finanziamento pubblico fondato sui fabbisogni standard, sancito dalla legge di bilancio statale per il 2017, che complicherà non poco la gestione degli enti locali, unitamente alla verosimile riduzione della quota 2017 del cosiddetto fondo di solidarietà.
Quanto alla entità reale dei valori dei bilanci – economici, finanziari e patrimoniali – dovrà scaturire da un accurato esame dei dati contabili e del loro andamento di periodo, facendo ricorso – per l’occasione – ai rendiconti finanziari di competenza, ai bilanci di previsione e alla situazione di cassa coeva all’effettuazione della analisi comparata. Tutto questo dovrà avvenire mediante la somma lineare dei bilanci attraverso la quale determinare le entità da aggregare in capo al nuovo Comune e gli indicatori necessari, sia in percentuali che in assoluto, per definire il più utile confronto. Il tutto funzionale a definire lo studio di fattibilità o meno della fusione.
Relativamente all’approfondimento dell’evoluzione organizzativa in senso lato, che necessariamente deriva dalla trasformazione strutturale dei Comuni che si fondono in un unico Ente, è da tenerla in grande considerazione, non solo piano dei macro cambiamenti, ovverosia nel considerare l’unicità del sindaco e degli altri organi di governo locale e revisione. Dovranno, infatti, essere, attentamente valutate le economie di scala, da doversi registrare positivamente sia sui costi/spese generali istituzionali ma anche sui Settori e loro responsabili, ivi compresi i sevizi di staff del sindaco. Il tutto chiamasi, progetto di fattibilità!

UN IMPEDIMENTO RESPONSABILE A ben vedere, una fusione utile ma non semplice da perfezionare, impedita tra l’altro ai Comuni in dissesto ovvero a quelli che hanno fatto ricorso al predissesto, troppo spesso ignari di qu
esto naturale impedimento a poterla frequentare.

*Docente Unical

(L’articolo è un’anticipazione di quanto sarà pubblicato nei prossimo giorni sul Sole 24 Ore)

 

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